Non sarò il tuo amante (Capitolo 9)

Dragon Ball Z

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    Fandom: Dragon Ball Z

    Titolo: Non sarò il tuo amante – Quella cosa chiamata gelosia (Capitolo 9)

    Rating: NSFW

    Genere: Erotico, Introspettivo, Romantico

    Pairing: Goku/Vegeta

    Wordcount: 2210


    COWT Settimana 4, Missione 2: Ideali a cui aspirare

    Prompt: Gli Amanti





    Quella cosa chiamata gelosia... solo adesso comincio a capirla.
    Se fino a stamattina non ne avevo coscienza, osservandone inconsapevole gli effetti nello sguardo frustrato di mio figlio, adesso m’appare lampante. Lampante il motivo di tanta rabbia, lampante l’origine di questa frustrazione... Lampante il maledetto amore che ho per te e che mi rende così impotente.
    Da quando ti fanno schifo i miei baci? Da quando vuoi preservare le tue labbra per lei? Da quando i nostri incontri sono diventati misere scopate da quaranta minuti?!
    «Senti, ho capito...» concludo, rialzandomi da terra, senza guardarti «Oggi non sei dell’umore, lasciamo perdere.»
    Vattene a casa, vai pure a giocare con la tua Bulma finché non ti avrà stufato vorrei dirti, ma basta il pensiero a mettermi di malumore. So bene che con lei non faresti mai quel tipo di sesso che fai con me. Del resto, la ami.
    «Mh? Che diavolo dici?» incalzi tu, rincarando la dose. «Negli ultimi due anni non mi sembra di essere mai stato dell’umore più giusto...»
    Ridi, con aria sfottente, e stringi una mano sotto la mia cintura, dandomi a bruciapelo una scossa di eccitazione pura.
    «...E mi sembra che questo valga anche per te.»
    Fottuto bastardo.
    Sarebbe questa la mia risposta se avessi ancora aria nei polmoni. Furioso con te, e forse ancor più col mio corpo, tuo inguaribile complice nel dispensare tiri mancini, abbasso lo sguardo per incontrare il tuo, la schiena rigida come un pilastro di cemento armato e tutti i miei istinti in visibilio. Tra la voglia di scoparti e la voglia di tirarti un sacrosanto ceffone in faccia non so quale prevalga, adesso, so solo che non voglio dartela vinta per nessuna ragione.
    «Sei un fottuto bastardo Veget...!»
    Di colpo e totalmente senza preavviso, come poco prima, ti spingi verso di me e mi posi un bacio veloce sulle labbra: non il bacio che volevo, certo, ma comunque un bacio.
    «Contento?» domandi, impaziente. «Adesso muoviti...»
    Dandomi mentalmente dell’idiota (per una volta senza che tu me lo ricordi) cedo all’istinto e a quel tuo comando come se obbedirgli fosse questione di vita o di morte. In un attimo mi tolgo di dosso quel che rimane della mia maglia e ti tiro giù i pantaloni.
    Persino chiudendoli, sento gli occhi andare a fuoco mentre mi prendo cura forse dell’unica parte del tuo corpo che mi è concesso dividere con tua moglie, ascoltando in silenzio i gemiti che tenti di trattenere.
    È sempre stato così? Ho sempre avuto questo groppo al cuore mentre ti davo piacere, in passato?
    Nient’affatto.
    E c’è di più: anche se muoio dalla voglia di possederti, di sentire di nuovo il tuo calore, i nostri corpi uniti insieme in ogni brivido, come una cosa sola, non riesco ancora a farlo. Non riesco a fare quel che sia tu che il mio corpo mi chiedete dall’inizio del nostro incontro.
    Non riesco semplicemente a scoparti, sapendo che ti amo.

    «Nh!! K-Kakaroth...! Idiota... Non... non ne hai ancora abbastanza? Smettila di giocare!»
    Mi fermo alle proteste della tua voce esasperata. Non posso darti torto, sento che sei ad un passo dal limite. Lentamente avvicino il mio viso al tuo e lo accarezzo con le dita.
    «Scusa, hai ragione» sorrido, senza malizia né aria di provocazione. Per quanto tu possa essere bastardo non voglio vederti soffrire, nel senso più generale del termine.
    I tuoi occhi, sebbene appannati, per un istante tremano e fissano i miei, accigliati: non so cosa darei per capire cosa ti sta passando per la testa, ma so bene che non mi è dato saperlo, né in questa vita né in nessun’altra.
    È anche per questo che ti amo, dopotutto.
    Appunto, ti amo. E sai che c’è? Non mi importa nulla del tuo sesso-in-quaranta-fottuti-minuti-esatti. Io te lo dico e basta.
    Immagino che non esista un modo più o meno corretto di dichiarare il proprio amore a qualcuno, ma il momento... il momento in cui lo si dice, credo che quello sia importante.
    In trepidazione per quel fatidico istante in cui esploderà ciò che mi scoppia dentro da stamattina, infilo le mani sotto la maglietta che ti copre interamente il petto e l’addome, fino a sfilarla del tutto.
    Ho intenzione di stringerti, di sentire la tua pelle nuda contro la mia, ed ascoltare la risposta, la tua vera risposta, quando te lo dirò. No, non quella pronunciata dal tuo orgoglio, né da quella mente, infaticabile calcolatrice, che ha la pessima abitudine di pesare e soppesare ogni parola. Sono consapevole che non riuscirei a cavarle parole spassionatamente sincere neanche con le suppliche.
    Ma il tuo corpo ed i tuoi occhi, loro non mi mentiranno. Loro diranno la verità, anche se solo per un istante, prima che tu ti ricomponga, ed io sarò attento a catturarla.
    E proprio quando le due fatidiche parole stanno per formarmisi sulle labbra, li vedo.
    I tuoi pettorali marchiati da due, tre, quattro... cinque succhiotti, stampati con evidente maestria dalla sola persona che ha accesso al tuo cuore. Chi l’avrebbe mai detto, Bulma.
    Mollo la stretta.
    Immobile, li guardo.
    Non li avevi mai avuti prima.
    D’accordo, è tua moglie. Ci vai a letto. È normale.
    Normale...
    Normale un cazzo!
    L’unica cosa normale è che mi diano fastidio, insomma: a me l’hai fatto tanto lunga per un bacio, e da lei ti lasci tastare come l’assaggio del giorno?!
    Allento la tensione con una lieve torsione della spalla, costringendola a sciogliersi.
    «Carini» mormoro «Non sapevo ti piacesse, averne tanti addosso.»
    Tu non rispondi ed io non ho interesse nel cercare di interpretare le tue espressioni.
    «Vediamo se so fare di meglio io» dico, più rivolto a lei che a te, prima di posare le labbra sulla base del tuo collo e cominciare a succhiare avidamente la pelle che mi appartiene.
    «Che fai, idiota!?»
    Le tue lamentele arrivano forti e chiare alle mie orecchie, ma non le ascolto. Non ti dirò che ti amo con... con questo addosso, non prima di aver chiarito cosa da sempre è stato mio.
    Niente di personale, Bulma, ma lo amo. È troppo importante per me. Troppo importante per essere diviso anche con una buona amica.
    «Smettila, imbecille! Pensi che Bulma sia così stupida da non notarlo!?»
    Ma a me non frega un cazzo di cosa penserà Bulma.
    Insisto e affondo i denti sulla tua pelle, non del tutto certo di aver dosato la forza. Peccato che il mio entusiasmo non sia per nulla gradito: lo dimostri fantasticamente sfondandomi il fianco con un pugno. Il dolore è così lancinante che capisco di non essere stato il solo a non essere riuscito a controllare la forza.
    D’istinto mi rivolto a terra tenendomi il fianco, dolorante, mentre tu sbraiti: «Razza di CRETINO!»
    «Ugh... sempre.. docile come al solito.. eh?» riesco a stento a rispondere, ancora col fiato mozzato.
    «Sei un idiota. E giuro, ne ho incontrati di idioti, nella mia vita, ma tu hai vinto il primato!»
    Ti avvicini a me con tutta l’aria di chi ha superato di un bel po’ la soglia della pazienza.
    «Se non ti decidi a farlo tu, lo faccio io.»
    Ti siedi sulle mie cosce, ormai completamente nudo. Slacci il nodo che mi tiene ancora i pantaloni fermi sulla vita e li tiri giù, assieme all’intimo sottostante.
    Il tuo sguardo dice più di mille parole: vuoi la tua scopata e la vuoi subito.
    «...Quante storie per una scopata del cazzo. Ho perso un sacco di tempo con le tue stupidaggini... Vedi di fare in fretta e fai in modo che perlomeno ne sia valsa la pena!»
    Tremo, stavolta di rabbia.
    Una scopata del cazzo. Le mie stupidaggini...
    Non ti sono sempre piaciute? Non è per questo che hai accettato d’incontrarmi, da due anni a questa parte?
    «Si può sapere perché tanta fretta? Che hai di così importante da fare?»
    «Ripassarmi mia moglie, tanto per cominciare. Allevierà il ricordo di questa vergogna!»
    È troppo. È veramente troppo.
    Avresti fatto meglio a non dire una parola, forse avresti avuto la tua scopata senza altri problemi, ma ora non l’avrai nemmeno con le suppliche.
    «Togliti.»
    Non è un preavviso: senza darti tempo di replicare ti spingo via da me, facendoti crollare di peso su un fianco. Mi alzo e risistemo le mutande e i pantaloni al loro posto. Non basterà la forza di volontà a spegnere gli istinti, ma me ne frego.
    Non puoi permetterti tanto... non puoi avere il lusso di prenderti quello che vuoi dopo avermi dilaniato il cuore.
    «...Che stai facendo?!»
    In qualche modo ti rialzi, t’imponi davanti a me. So bene che il tuo orgoglio sta gridando all’affronto in tutte le lingue che conosci. Ho visto fin troppe volte quel cipiglio incollerito, quell’espressione esterrefatta sulla tua faccia, e la vedo persino adesso, senza guardarti.
    Ti rialzi e ti metti davanti a me, cominciando a dare di testa, come solo tu sai fare.
    «Vuoi spiegarmi che...?»
    «Mi è passata la voglia di farlo, ecco tutto. E adesso me ne vado.»
    Ti oltrepasso, recuperando da terra quella che fino a stamattina era la mia maglietta. Sento prudermi le mani dalla rabbia mentre la rimetto alla meno peggio, e proprio allora, il tuo fatale errore.
    Mi tiri per un braccio, forse per costringermi a guardarti, forse per fermarmi, magari per convincermi a terminare quello che avevamo iniziato, ma quell’insistenza si traduce in un istante nella goccia che fa traboccare il vaso.
    «Ti ho detto di TOGLIERTI!»
    La mia mano si muove istintiva, improvvisa, troppo veloce perché possa fermarla.
    Il pugno ti arriva dritto in faccia, tra lo zigomo ed il naso, così forte che ti costringe a indietreggiare, lasciandoti letteralmente di sasso.
    Il tempo sembra fermarsi.
    Con la stessa rapidità con cui mi ha sopraffatto, la collera svanisce, succhiandomi via le energie, compresa quella necessaria a respirare, alienandomi dal presente.
    Io ti amo.
    Se non lo sentissi tuonare in gola ad un ritmo ossessivo, dubiterei persino che il mio cuore funzioni.
    Dio, volevo solo dirtelo.
    Ma non riesco a parlare. La voce mi muore in gola davanti all’accaduto, che per quanto rifiuti di accettare è concreto, è reale, è vivido come il sangue che ti sgorga copioso dal naso, bagnandoti le labbra.
    Non so dopo quanti interminabili secondi il tuo volto, incredulo, torna su di me, ma so che è sufficiente a rompere mia paralisi, ancora prima che il sapore metallico in bocca possa riportare te alla realtà.
    Deglutisco, odiandomi per quello che ho fatto, ma ancora di più detestando te che mi hai fatto arrivare a tanto.
    Perché hai dovuto essere così stronzo?
    Non è un pugno come tutti gli altri, lo sappiamo entrambi.
    È quello che ti ha fatto trasalire, è quello che disgusta me stesso: non il gesto, ma il suo significato.
    Io non ti ho mai colpito con l’intenzione di farti del male, se escludiamo la volta in cui cercavo di impedirti di ammazzarmi e di distruggere il mio pianeta. E persino quella volta, c’era del rammarico, in fondo al mio cuore.
    «Tu...» cominci a sibilare, gli occhi ridotti a due fessure di rabbia. La voce strozzata da una collera che monta minacciosa, come nuvole cariche di pioggia ed elettricità.
    Mi volto, dandoti le spalle.
    So che sarebbe inutile qualunque parola, adesso, ma soprattutto so che non te ne meriti nessuna.
    Cerco di concentrarmi, consolandomi con un solo pensiero:
    Non farà più male di quanto tu ne hai fatto oggi a me, Vegeta.
    Così, anche se non vorrei, non avrei mai voluto, decido di lasciarti qui, e questa volta in modo definitivo.
    «Lurido vigliacco!»
    Porto due dita alla fronte cercando disperatamente un’aura abbastanza intensa che mi permetta di sparire, di non averti più di fronte a me. La trovo: quella di Dende, in cima al palazzo di Dio.
    «VAI ALL’INFERNO!»
    Calcolo approssimativamente le distanze ed un secondo dopo appaio ai piedi dell’obelisco di Karin, distrutto.
    Un vento leggero muove le chiome degli alberi nella foresta, attorno a me, e quel fruscio risulta l’unico rumore udibile a metri e metri di distanza. La mia aura, intanto, si è spenta, forse di propria volontà, forse solo assecondando il vuoto che mi si è aperto dentro, dal momento in cui ci siamo lasciati in quel modo.
    Barcollo verso l’imponente pilastro che sorregge il santuario e vi appoggio la schiena; ripenso, con gli occhi rivolti al cielo, al momento in cui ti ho colpito, alla tua espressione... all’odio che con tutta probabilità dilagava in te quando mi hai augurato di andare all’inferno.
    Sospiro, mentre il mio sorriso si bagna di lacrime amare.
    Mi odi...
    Già. Mi hai sempre odiato da quando ti conosco.
    Per orgoglio, per rivalità, per una competizione che io non ho mai cercato, e poi perché ti ho salvato la vita. Ma in fondo tutte le cause sono riconducibili alla prima.
    Il sesso era l’unica cosa che ti teneva legato a me, anche se nel modo più subdolo e sfuggente, ma adesso che te l’ho negato... mi odi così tanto che vorresti addirittura vedermi all’inferno.
    «Tsk...»
    Un altro sorriso, più amaro del precedente.
    Ti amo tanto che ci andrei davvero all’inferno, per te. Ma dubito che t’importerebbe.
    Le gambe mi cedono, obbligandomi d’improvviso a sedermi per terra. E mentre un senso di desolazione mi attanaglia, con il capo stretto tra le mani, scopro per la prima volta di quanto dolore può essere fonte l’amore.
     
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