Resident Devil (Capitolo 2)

Devil May Cry, Resident Evil

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    Fandom: Devil May Cry, Resident Evil

    Titolo: Resident Devil (Capitolo 2): Dante & Vergil A

    Rating: SAFE

    Wordcount: 4220


    COWT Settimana 7, MISSIONE 7 “UN ALTRO GIRO DELLA SPIRALE”



    Quando Dante riaprì gli occhi, si trovava steso a terra, su un manto stradale lercio e bagnato di pioggia, completamente nudo se non per un asciugamano legato in vita.
    «Ma che diavolo...?»
    Si rialzò a fatica, portandosi una mano alla testa stordita.
    Non riusciva a ricordare bene, ma era certo di trovarsi nel bagno di casa sua, fino a pochi istanti prima. Era appena uscito dalla doccia e stava per radersi la barba, fino a quando...

    «Dante... vieni a dare un'occhiata.»

    «Qui polizia di Raccoon City! Qualcuno ci riceve? Passo!»


    Fino a quando Vergil lo aveva chiamato, dicendogli che il juke-box aveva qualcosa che non andava. Il rumore lo aveva fatto insospettire - Dante aveva quel juke-box da quasi trent'anni, e non gli aveva mai dato un problema simile - così era uscito dal bagno, gettando l'asciugamano con cui si era strofinato i capelli freschi di shampoo per raggiungere il fratello nella sala principale della Devil May Cry.
    Lì aveva visto coi suoi occhi il juke-box accendersi e spegnersi a intermittenza, e trasmettere voci strane, voci che chiaramente non c'entravano nulla con la playlist musicale che stava ascoltando il fratello.

    «Qui Leon Scott Kennedy dal dipartimento di Raccoon... Identificatevi! Siete... sopravvissuti? Dove... Passo!...»

    Un suono rauco e lamentoso, come una specie di ululato soffocato lo riportò alla realtà.
    Dante si guardò intorno e ciò che vide non fu molto diverso dallo scempio che aveva visto a Red Grave City, non molto tempo prima, quando la città era stata invasa dai demoni. C'erano macchine abbandonate alla rinfusa lungo la strada, molte delle quali incidentate; vetrine di negozi sfondate; piccoli incendi accesi in lontananza su pozze di olio o di benzina; scintille che si levavano da alcune insegne in corto circuito; porte e finestre di abitazioni sprangate con assi di legno o con pesanti saracinesche pressoché ad ogni numero civico della strada.
    Cos'è questo posto? si chiese il devil hunter. Non sembra Crenfole...
    Non era un quartiere che lui conosceva, per lo meno. Cosa strana, considerando che viveva in quella città da quando aveva aperto la Devil May Cry, e credeva di conoscerla ormai come le sue tasche.
    Di nuovo un lamento, unito ad un rumore strascicato di passi.
    Dante si voltò verso un lato della strada ostruito da una macchina e da una barriera di metallo piazzata presumibilmente dalla polizia.
    «Ehi, amico... mi sai dire che posto è questo?» chiese Dante, vedendo spuntare dalla fiancata dell'auto qualcuno.
    Il tizio non rispose, continuando a trascinarsi in avanti, come se fosse ubriaco, emettendo lamenti e spaventosi suoni gutturali.
    «Ehi, stai...»
    Bene?
    La voce gli morì in gola, esattamente come era successo a Leon Scott Kennedy, nella città che Dante conosceva come le sue tasche.
    L'uomo che avanzava... no, la cosa che avanzava, era putrescente e non sembrava in alcun modo poter essere viva. Forse un tempo era stato un uomo, uno dei tanti frequentatori assidui del bar del centro di Raccoon City, indossava polo perfettamente stirate e pratici pantaloni di tela, aveva moglie, figli, e nei fine settimana non rinunciava mai ad incontrarsi con gli amici per una birra e per seguire le partite in televisione. Una volta, a giudicare dal suo aspetto, sì, poteva essere stato tutto questo. Adesso era solo un cadavere che camminava, con il volto tumefatto, sporco di sangue e di fango, gli occhi trasfigurati in due spettrali biglie bianche senza coscienza, e la bocca un pozzo fetido e nauseabondo, spalancato in attesa del prossimo pasto di interiora umane.
    «Che razza di demone sei, tu?» chiese Dante, forse rivolto più a se stesso, con un sussulto.
    Il morto continuò ad avanzare verso di lui, stolidamente, protendendo le braccia in avanti.
    No, non è un demone, si rispose il devil hunter.
    O se lo era, era completamente diverso da qualsiasi altro demone avesse mai visto.
    La creatura lo puntò, lanciò un altro lamento e barcollò verso di lui. Ormai era a meno di tre metri da Dante.
    «Fermo dove sei, demone!» lo ammonì il devil hunter, per rendersi conto solo allora di essere completamente disarmato. E nudo.
    Oh, merda...
    La Cosa continuava ad avanzare. Per fortuna Dante poteva sempre contare sulla sua Devil Sword... o così credeva.
    «E va bene, te la sei cercata» mormorò il cacciatore di demoni allungando un braccio lateralmente e allargando la mano, in attesa che la sua spada si materializzasse tra le dita.
    Richiamò i suoi poteri, attese un paio di secondi...
    Ma non successe nulla.
    Come...? Perché?
    Dante si guardò la mano con un'espressione confusa, a tratti quasi comica, dipinta sul volto.
    Perché non funziona?!
    Il morto ambulante ringhiò e si avvicinò di un altro mezzo metro.
    'Fanculo la spada...
    Decise che lo avrebbe fatto fuori a mani nude, in forma demone. Ma anche stavolta, come Dante provò a richiamare i suoi poteri demoniaci, nulla mutò nel suo corpo.
    Deve essere un sogno, non c'è altra spiegazione!
    Quello che il figlio di Sparda non sapeva - ma che cominciava piano piano a realizzare - era che non si trattava di un sogno, ma di un terrificante incubo ad occhi aperti.
    «Non ti avvicinare!» ripeté Dante alla Cosa che gli veniva incontro ed indietreggiò. Il piede nudo pestò qualcosa di duro e tagliente sull'asfalto, un frammento di vetro, probabilmente appartenuto a qualche finestrino di autovettura. Dante percepì un dolore acuto e inaspettato alla pianta del piede e fece un balzo indietro, imprecando.
    Si controllò la pelle e vide che la ferita sanguinava abbondantemente.
    Merda... perché fa così male?
    Avrebbe forse notato, con uno stupore crescente e forse con una punta di panico ad artigliargli le membra, che la ferita non si rimarginava con la consueta rapidità, grazie alla sua natura per metà demoniaca, ma Dante non continuò ad esaminare il taglio. Il morto era ormai vicinissimo.
    Affrontarlo o scappare?
    Sembrava una domanda assurda, ma una parte del suo istinto umano di sopravvivenza gli suggeriva che stavolta era meglio non combattere, che doveva correre al riparo, che doveva stare il più lontano possibile da quella creatura immonda.
    Ridicolo, si disse Dante, in un moto di orgoglio e di spavalderia. Posso fermarlo anche a mani nude, anche senza poteri demoniaci.
    «L'hai voluto tu...»
    Scattò in avanti, letteralmente prendendo di petto la creatura, si abbassò per evitare le sue braccia all'ultimo istante e gli piantò un pugno nello stomaco.
    SPLURT.
    Questo fu più o meno il rumore che produsse la sua mano mentre annegava in quella putrida poltiglia di budella e interiora in decomposizione.
    Come fa ad essere ancora vivo, questo affare?!
    Non ebbe tempo di darsi una risposta. Nonostante lo stomaco sfondato, lo zombi gli si avventò di sopra, artigliandogli la pelle nuda di una spalla. Dante si ritrasse, ma non abbastanza rapidamente da evitare che la creatura gli piantasse un morso sull'avambraccio.
    «Ehi!!» Dante gridò, per la sorpresa, soprattutto, ma anche per il dolore, di nuovo più acuto ed intenso di quanto lo ricordasse. «Mollami, bastardo!»
    Riuscì a fatica a divincolarsi e a scrollarsi l'essere putrescente di dosso, ma ora che il mostro aveva assaggiato il suo sangue, sembrava più famelico e più scattante di prima.
    Dante ebbe appena il tempo di prendere coscienza dei segni disgustosi del morso scavati nel suo braccio che dovette cominciare a correre per evitare un nuovo attacco.
    Si voltò nella direzione opposta della strada, ma vide arrivare verso di sé un altro mostro, da dietro un'altra transenna. E poi un altro, da dietro una macchina della polizia schiantata contro un palo della luce.
    Ce n'erano a bizzeffe. E lo stavano circondando.
    Dante deglutì, cominciando lentamente a realizzare che quello non era il suo mondo, che lui non aveva più i suoi poteri, che quei mostri, quegli zombi privi di parola e di intelletto, avrebbero forse potuto ucciderlo.
    Tutto questo... non ha senso.
    Fece un altro passo indietro e l'asciugamano gli si sciolse dalla vita. Dante rabbrividì, come rendendosi conto solo ora che era nudo, e che fuori l'aria era gelida... e che lui avvertiva il freddo come non gli era mai capitato prima.
    Merda merda merda!
    Riacchiappò l'asciugamano, si coprì l'intimità e il primo zombi, quello che lo aveva morso, si avventò di nuovo su di lui.
    «E lasciami!» sbottò Dante, ma nella concitazione del momento non vide i rottami di un ciclomotore sulla strada e ci incespicò di sopra. Cadde a terra, di schiena, subito assaltato dal morto vivente.
    Lo zombi cominciò a ringhiare, tentando di afferrarlo con le unghie e con i denti, inferocito. Dante lo tenne a distanza con le mani, ficcandogli le dita nella pelle flaccida del collo, ma si rendeva conto, secondo dopo secondo, di non riuscire a prevaricarlo con la forza fisica.
    Tentò spasmodicamente di richiamare a sé i poteri demoniaci, ma ancora una volta, non ci riuscì.
    Che cosa mi è successo? si chiese, frastornato e ad un passo dalla disperazione, mentre il mostro lo sopraffaceva.
    «DANTE!»
    Un rumore secco, come di una frusta che falciava l'aria. Una lama brillò sotto le luci morenti di quell'angolo d'Inferno terreno che era Raccoon City per ficcarsi un attimo dopo dentro il cervello dello zombi che stava per nutrirsi di Dante.
    «Ver...» ansimò il devil hunter con la voce strozzata. «Vergil... Dio...»
    «Tirati su, svelto» fece il fratello, e senza dargli il tempo di riprendere fiato lo tirò per un braccio e lo costrinse a rimettersi in piedi.
    Dante avvertì di nuovo la fitta al piede e stavolta sì, notò che anche i suoi poteri rigenerativi non funzionavano a dovere. Stava ancora sanguinando e il dolore non faceva che aumentare, invece di svanire.
    «Vergil... che sta succedendo? Dove siamo?!»
    Per tutta risposta, il gemello si tolse in fretta la maglia e gliela piantò in mano, assieme alla fondina delle sue pistole. «Mettiti qualcosa addosso e prendi le tue armi. Ho idea che ci serviranno.»
    «Vergil, mi vuoi spiegare cosa...»
    «Non lo so!» esclamò Vergil, guardandolo per la prima volta in faccia, e Dante colse una nota di allarme nei suoi occhi, pervasi dal suo stesso senso di smarrimento. «Ero davanti al juke-box e poi mi sono ritrovato qui, come te.»
    Il verso di altri zombi in avvicinamento li fece trasalire entrambi.
    «Parleremo dopo» disse Vergil, la spada protesa davanti a sé. «Adesso pensiamo a trovare un luogo sicuro... e a rimediarti dei vestiti.»
    «Mi sembra un'ottima idea» rispose Dante, felice più che mai di riavere tra le mani Ebony e Ivory.
    Si fecero strada tra i morti e camminarono lungo il marciapiede della via del centro di Raccoon City senza incontrare nemmeno un essere senziente. Presto si resero conto che i morti che camminavano erano paragonabili solo per l'aspetto orrendo ai demoni che erano abituati a cacciare, ma per il resto, non avevano nulla da spartire con essi: non morivano se colpiti al cuore o se tranciati a metà da Yamato, e resistevano ai colpi di proiettile. Solo se colpiti alla testa, se cioè il loro cervello veniva disintegrato, smettevano di muoversi, e trapassavano per davvero.
    «Vergil... guarda» indicò ad un certo punto Dante, e Vergil notò che dall'altra parte della strada c'era la vetrina di una boutique infranta. L'interno era completamente buio; solo dai manichini ammassati confusamente gli uni sopra gli altri si riusciva ancora a evincere che si trattasse di un negozio d'abbigliamento.
    «Vado avanti io» disse Vergil al fratello. «Resta dietro di me.»
    Dante non ebbe nulla da obiettare. In altri frangenti si sarebbe opposto e si sarebbe impuntato per andare per primo, ma stavolta non si sentiva nelle condizioni adatte a combattere. Non solo perché era nudo e perché il piede gli faceva un male cane, ma anche perché aveva quasi perso sensibilità agli arti per il freddo, tanto che di tanto in tanto veniva scosso dai brividi.
    «Stai bene?»
    Dante si accorse che Vergil lo stava osservando attentamente.
    «Sì... sì, sto bene.»
    «Sei pallido.»
    Dante alzò le spalle, cercando di non fare trasparire la preoccupazione che gli serpeggiava nelle vene e intorno al cuore. «Sono solo un po'... spaesato.»
    Vergil non fece altre domande, per il momento. Proseguì verso la boutique, spostandosi rapido e silenzioso. Cominciava a capire che gli zombi erano attirati dai rumori, e che erano lenti; dunque quello era il miglior modo di procedere.
    All'interno del negozio dissestato, forse dagli zombi, dallo sciacallaggio di qualche cittadino non troppo rispettoso della legge o da entrambe le cose, c'erano solo un paio di morti viventi. Vergil riuscì facilmente ad abbatterli, nonostante l'oscurità pressoché totale che ammantava l'interno della boutique. Dante, nel frattempo, restò di guardia all'esterno dell'edificio, acquattato poco oltre la vetrina rotta. Tremava per il freddo, nonostante Vergil gli avesse dato la sua maglia, e il morso dello zombie sul suo braccio aveva un aspetto che non gli piaceva per nulla. Non era un tipo facilmente impressionabile, lui, ma era abituato a vedere le sue ferite cicatrizzarsi in poco tempo: esattamente quello che non stava succedendo adesso.
    «Puoi entrare» bisbigliò Vergil da dentro il negozio.
    Dante ne fu sollevato. Entrò facendo attenzione a non tagliarsi mentre oltrepassava la vetrina rotta e una volta all'interno vide il gemello adoperarsi per sbarrare l'entrata con un separé, per quanto fosse possibile.
    «Almeno li sentiremo, se passano di qui» fece Vergil e di nuovo, Dante non ebbe nulla da obiettare.
    «Che cosa sono quegli affari, secondo te?» gli chiese Dante, serio.
    «Non ne ho idea. Neanche all'Inferno ho visto niente del genere.»
    Dante abbassò lo sguardo, pensoso. Attese qualche secondo, perfettamente conscio di quanto fosse assurda la domanda che gli si era formata in testa, ma d'altra parte, tutto quello che era successo negli ultimi venti minuti era assurdo. «Siamo finiti... in un altro mondo?»
    Vergil non trovò la domanda assurda, tutt'altro. «Può darsi.» Sospirò, e Dante rivide nei suoi occhi, anche immersi in quell'oscurità, lo stesso smarrimento di prima. «Pensavo che potesse trattarsi semplicemente di un'altra città, ma... Non spiega perché abbiamo perso il nostro potere demoniaco.»
    Dante sussultò. «Anche tu...?»
    Vergil sbuffò. «Pensi che avrei fatto tutta quella strada a piedi, in mezzo a quelle disgustose creature e con te conciato in quel modo, se avessi potuto più semplicemente volare?»
    «E la tua magia?» chiese ancora Dante, riferendosi all'incantesimo con cui Vergil era in grado di evocare delle spade, per colpire gli avversari a distanza. «Hai provato a...»
    «Svanita anche quella.»
    Si fissarono per un attimo, spaventati, per la prima volta da quando avevano otto anni e avevano incontrato il loro primo demone nelle campagne di Red Grave.
    «Cazzo...» mormorò Dante.
    Vergil non ebbe nulla da ridire sull'imprecazione volgare. «Già. Siamo uomini, a tutti gli effetti. E presumibilmente mortali. Dobbiamo fare molta attenzione, Dante.»
    «Gesù, Vergil... Come facciamo a tornare indietro?»
    Ammesso che si possa tornare.
    «Se lo sapessi, avrei già tentato» rispose l'altro, stringendosi nelle spalle. «Comunque... Affrontiamo una cosa per volta. Ti servono dei vestiti e... Ti hanno ferito, prima?»
    «È solo un morso» fece Dante. «Non so perché quegli abomini sembrino così ansiosi di mangiarci.»
    Vergil annuì. Anche lui non sapeva dare una spiegazione a quell'istinto, ma non era nemmeno troppo strano. Alcuni demoni si nutrivano di carne umana; il problema era che quegli esseri, quegli zombi, non sembravano demoni, ma persone. Esseri umani, che per qualche ragione, invece di starsene buoni dentro una tomba, se ne andavano a spasso per la città a nutrirsi di altri uomini.
    «Ed io che pensavo che fossero i demoni, ad essere spaventosi» borbottò Dante. Poi lanciò uno sguardo al reparto di abbigliamento per uomo, completamente buio. «Vado a scegliermi qualcosa da mettere, ammesso di riuscire a vedere qualcosa, qui dentro.»
    Non solo Dante, ma anche Vergil trovò qualcosa da indossare per proteggersi meglio dal freddo umido di Raccoon City. Essere "normali uomini" aveva un mucchio di effetti collaterali. Soffrivi il freddo, questo era assodato; eri più sensibile al dolore; ti stancavi più facilmente; il tuo corpo non si rigenerava dopo essere stato ferito.
    Parte di queste cose, Vergil le aveva sperimentate con V (sebbene, in quel caso, potesse comunque contare su una minima parte di potere demoniaco e sui suoi tre famigli); per Dante invece era tutto completamente nuovo e tremendo.
    «Che ne pensi?» domandò al fratello, dopo essersi vestito.
    «Non so molto di questo mondo, ma credo che il tuo abbigliamento sia l'ultimo dei fattori degni di nota» rispose Vergil, senza guardarlo, mentre si abbottonava un gilet sopra la camicia.
    Dante inarcò un sopracciglio, come a sottolineare che anche Vergil, nonostante tutto, non aveva rinunciato a cambiarsi d'abito. «Non rompere e dimmi lo stesso cosa ne pensi!»
    Vergil sollevò lo sguardo, cercando di indovinare il modello e il colore dei capi scelti da Dante nella penombra. Stivaletti sportivi; pantaloni scuri, forse marroni, forse neri; maglia nera; giubbotto rosso in pelle; immancabili guanti neri senza dita.
    «Tipico di te, fratellino.»
    «Lo prenderò come un complimento» ridacchiò Dante, e mosse un passo in avanti, incerto. Aveva avuto una specie di vertigine.
    «Dante?» lo richiamò Vergil.
    «È tutto okay» fece lui, alzando una mano «È solo il piede, credo. Non lo poggio ancora bene.»
    Vergil non ne era convinto. «E il braccio? Come va?»
    «Più o meno lo stesso» rispose Dante, ma non aveva la minima intenzione di tirarsi su la manica e mostrarlo al fratello. Bruciava ancora da impazzire, e non era un bello spettacolo. «Dunque... la prossima meta?»
    Il fratello alzò le spalle, guardandosi intorno. «Dovunque tranne che qui. Sempre che esistano ancora posti sicuri, in questa città.»
    «Beh, un posto sicuro nelle città degli uomini sono le prigioni, le case dei politici...» cominciò a elencare Dante. «O le stazioni di polizia.»
    «Sono abbastanza sicuro che nemmeno i poliziotti sono riusciti a fare molto per questa città» commentò Vergil, ricordandosi le volanti blu abbandonate, distrutte o vandalizzate che aveva visto per strada.
    «Temo anch'io. Ma forse lì abbiamo più speranza di trovare qualcuno ancora vivo, qualcuno che possa spiegarci che diavolo sta succedendo in questa città... O che diavolo è successo a noi
    Vergil dubitava fortemente di quest'ultimo punto, ma chiedere informazioni a un membro ufficiale delle forze dell'ordine gli sembrava comunque la cosa più sensata da fare.
    «D'accordo allora... ma come facciamo a sapere dove si trova la centrale di polizia?»
    Dante si guardò intorno. «Se provassimo a telefonare?»
    Ispezionarono il negozio e trovarono facilmente il telefono accanto alla cassa - che per la cronaca, era piena, a testimonianza del fatto che ai morti non interessavano i soldi - ma come sollevarono la cornetta si avvidero che la linea era completamente muta.
    «Niente da fare.»
    «D'accordo, ascolta» disse allora Dante «In ogni città c'è sempre da qualche parte una mappa, soprattutto nelle zone del centro. Possiamo uscire fuori e cercarne una.»
    A Vergil non pareva già una grande idea camminare di notte senza meta, in una città sconosciuta e con due corpi così vulnerabili, anche qualora non ci fossero stati i morti viventi ad appestare le strade, ma si risolse che non avevano altra scelta.
    «Va bene.»
    «Aspetta, Ver» lo fermò Dante, avvicinandosi a lui e porgendogli Ivory, reggendola per la canna. «È meglio se questa la prendi tu.»
    Vergil studiò la pistola perplesso. «Non ho mai sparato.»
    Non aveva mai avuto bisogno di farlo, era l'affermazione corretta.
    «Non c'è momento migliore per imparare allora» Dante sorrise, per tornare serio un attimo dopo. «Dico davvero. Yamato può proteggerti fino ad un certo punto, in questo mondo.»
    Vergil sospirò. Aveva una buona mira con le Summoner Sword, ma sparare con un'arma da fuoco era un altro paio di maniche. Sapeva già che Dante avrebbe dovuto dargli qualche lezione.

    Uscirono dalla boutique a mezzanotte e mezza, oltrepassando di nuovo la vetrina rotta, mentre su Raccoon City cadeva una pioggerella sottile ma costante. Le strade erano piene di quei versi disumani e della puzza della carne in putrefazione degli zombi.
    Un altro fatto curioso - e disgustoso - a proposito di quelle creature, era che non si dissolvevano in sabbia una volta trapassati, restavano a marcire come cadaveri nelle strade. Cadaveri di cadaveri.
    Era raccapricciante da concepire persino per dei mezzi-demoni come Dante e Vergil.
    «Ehi, Ver, guarda là!» esclamò ad un tratto, a voce bassa, Dante.
    Vergil si voltò nella direzione indicata dal fratello e lesse l'indicazione del cartello stradale all'angolo in fondo alla via: "Raccoon City Police Department".
    Guardò di nuovo Dante e si scambiò con lui un sorriso d'intesa. Forse qualcosa comincia a girare per il verso giusto.
    Ma i figli di Sparda avrebbero presto imparato che in quel folle mondo contaminato dagli esperimenti ancor più folli della Umbrella Corporation, non si poteva mai abbassare la guardia.
    Una creatura ben diversa da uno zombi e assai più pericolosa li stava puntando da sopra le loro teste, fermo ad una ventina di metri, sotto il cornicione di una finestra.
    La bestia dall'aspetto mostruoso, priva di pelle e di occhi, con fasci di muscoli e viscidi organi esposti all'aria della notte, lanciò un urlo dissennato e si lanciò su di loro con i grotteschi artigli protesi in avanti, come falci di un Mietitore.
    Dante e Vergil non ebbero tempo di capire di cosa si trattasse, percepirono solo il pericolo, e solo quell'istinto li salvò. Si divisero, e la creatura, che Leon e Claire avevano conosciuto come 'Leccatore', per via della lunga lingua tagliente, cadde in mezzo a loro.
    Vergil inciampò sul gradino del marciapiede e poco ci mancò che perdesse l'equilibrio. La creatura urlò di nuovo, pronta ad aggredirlo con un balzo, ma Dante esplose due colpi di pistola in rapida successione.
    «Scappa!» gridò il devil hunter, mentre la bestia scattava adesso verso di lui.
    Dante vuotò l'intero caricatore di proiettili sul Leccatore, indietreggiando, ma la bestia non si fermava, né sembrava accusare i colpi.
    Vergil allora afferrò Ivory, prese la mira, e tirò forse per la prima volta in vita sua un grilletto. Centrò il Leccatore in testa e stavolta la bestia ululò, ferita, mentre uno schizzo di materia grigia si riversava sull'asfalto, luccicando alla tenue luce dei lampioni.
    «Vergil!»
    Come se non bastasse un Leccatore famelico ad attentare alle loro vite, un'ondata di zombie, attirata dai versi del mostro e dagli spari di pistola, si avvicinava a loro velocemente.
    La bestia intanto aveva deciso di prendersi la testa di Vergil, ma invece di saltare, stavolta, fece quello che sapeva fare meglio. Frustò l'aria con la lingua, aprendo un taglio profondo sul primo figlio di Sparda.
    «Ver!»
    Vergil non trattenne un gemito e la pistola gli sfuggì di mano. Strinse i denti, sentendo la morte incombere su di lui come quando Urizen, il suo lato demoniaco, aveva preso il sopravvento a Red Grave City.
    Ma questa volta, Vergil non era da solo.
    Dante caricò la creatura, gettandocisi letteralmente di sopra e schiacciandola, seppure per un momento, in terra. «Yamato, ora!»
    Vergil non se lo fece ripetere. Sguainò la Katana con il braccio sano e conficcò la lama da un lato all'altro del cranio del Leccatore, che mandò un grido acuto e stridulo, perforandogli i timpani.
    «Ma che... cazzo...?»
    Non c'era tempo nemmeno per chiedersi cosa fosse. Gli zombi li avevano già raggiunti.
    «Dante, corri!» urlò Vergil, recuperando la pistola e tirando via il gemello.
    Corsero entrambi a perdifiato in direzione della stazione di polizia di Raccoon City, sentendo i passi e gli ululati mostruosi di quell'esercito di morti alle loro spalle.

    Il Raccoon City Police Department era un edificio immenso e molto meglio illuminato rispetto alle strade della città. A Dante e Vergil sembrò quasi un miraggio, e forse proprio per la speranza che riaccese nei loro animi riuscirono a coprire gli ultimi cinquanta metri rapidissimi, incuranti delle ferite e del dolore a cui non erano ancora affatto abituati.
    Giunsero al cancello col fiatone, accorgendosi che era chiuso da un pesante catenaccio.
    «Merda!» sbottò Dante, tirandogli un calcio per la frustrazione.
    «Vieni da questa parte, scavalchiamo dalla siepe.»
    «Odio questo corpo!» gemette Dante. Solo un'ora prima sarebbe tranquillamente riuscito ad abbattere quel cancello con un solo calcio, o a saltarlo con un unico balzo, o a sorvolarlo spiccando il volo con le sue ali da demone. Adesso invece era un comune essere umano, totalmente privo di difese.
    «Merda!» gridò di nuovo, rabbioso, tirando un pugno all'inferriata.
    «Smettila!» Vergil lo strattonò, cercando di riportarlo in sé. «Impazzire adesso non ci salverà, anzi!»
    Quasi a dargliene conferma, i lamenti degli zombi si avvicinarono e sovrastarono le loro voci.
    Vergil obbligò Dante a scavalcare per primo e quando quello fu in cima al cancello afferrò la sua mano, per scavalcare a sua volta.
    Atterrarono dall'altra parte, all'interno del cortile della stazione di polizia, acciaccati ed esausti.
    «Forza...» ansimò Vergil, rimettendosi in piedi. Alla luce dei paletti che illuminavano il viale, Dante vide che il suo braccio sanguinava impietosamente. «Muoviamoci ad entrare, prima che abbattano anche il cancello.»
    Dante annuì e si rialzò, all'improvviso più lucido. Arrivarono insieme al portone d'ingresso, che miracolosamente si aprì al primo tentativo. Non era stato sbarrato dall'interno.
    Dio, se esisti, grazie.

    Entrarono nella hall della stazione di polizia e si accasciarono con la schiena contro il portone. Ripresero fiato, ancora tremanti per l'adrenalina in corpo.
    «Ehi... Ver...» fece Dante, respirando affannosamente «Stai bene?»
    Vergil annuì, senza guardarlo negli occhi, col cuore che sembrava volesse uscirgli dal petto. «Sì... sì, sto bene.»
    «La spalla... Il tuo braccio... stai ancora sanguinando.»
    «Già, me ne sono accorto.»
    Vergil si rialzò a fatica. «Cerchiamo un'infermeria. E magari qualcuno che ci spieghi cosa diavolo sta succedendo in questa maledetta città, e come possiamo andarcene.»
     
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