Memorie del passato

Originale

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1.  
    .
    Avatar

    The storm is approaching

    Group
    Administrator
    Posts
    11,895
    Location
    Red Grave

    Status
    Anonymous
    Fandom: Originale

    Titolo: Memorie del passato

    Rating: SAFE

    Wordcount: 5000


    COWT Settimana 7, Missione 6 “RIMPIANGERE CIÒ CHE NON È STATO (E PORVI RIMEDIO)”

    Prompt: Ritornare dove tutto è finito




    Faceva freddo quella notte, nella città di Leadenport. Malgrado il cielo fosse sereno, come accadeva spesso in inverno nelle terre di Raburgh, l’aria era impregnata di umidità e la temperatura percepita era al di sotto di 10 gradi. Le onde del mare arrivavano lente e schiumose fino alla riva, accarezzando dolcemente la sabbia e scoprendo le piccole conchiglie che vi s’insidiavano all’interno.
    Nathan camminava lentamente in quel paesaggio deserto da più di tre ore, ma non aveva voglia di ritornare.
    Ritornare dove? A casa? Ma quella non era casa sua. Casa sua non esisteva più.
    Il dolce rumore delle onde lo ammaliava, ricordandogli l’eco di ricordi lontani, attirandolo a sé come il miele fa con le api. Non poteva essere altrimenti: sulla sua terra natia, il suo palazzo sorgeva proprio su una scogliera davanti all’oceano. Ora, su Earth II, il pianeta che i terrestri avevano occupato dopo la grande epidemia di duecento anni prima - quella che aveva trasformato la Terra in un pianeta desolato e inospitale - aveva dovuto accontentarsi di un comune posto letto nell’Ordine dei Maghi di Leadenport. Non il massimo del lusso, ma comunque non poteva lamentarsi: il mare lo aveva proprio a due passi.
    Nathan però era tutt’altro che felice. Viveva su Earth II da quasi trent’anni (la sua razza era molto longeva: lui, dall’alto dei suoi settanta anni, era paragonabile per aspetto ad un terrestre di venticinque), ma non si era mai integrato nel vero senso del termine. Nonostante sulla nuova Terra i popoli fossero grosso modo tutti ospitali o per lo meno tolleranti verso le altre specie di alieni, Nathan non era mai riuscito a fermarsi a lungo in un posto, ma si trasferiva spesso e preferiva vivere in solitudine. Forse perché non era per natura un tipo socievole, o forse perché non aveva avuto modo di sviluppare e coltivare molti rapporti sociali nella sua vita. Ad ogni modo, non concepiva la solitudine come un male; certamente capiva che agli occhi degli altri era strano, anomalo più per il suo comportamento che per il suo aspetto, ma non gli importava.
    Solitudine per Nathan era pace, era la calma dopo la tempesta. E lui di tempeste ne aveva viste parecchie, in vita sua.
    Il mare gli bagnava ormai gli stivali, tanto si era avvicinato alla riva, mentre i tre piccoli satelliti di Earth II illuminavano tutta la costa, permettendogli di scorgere il proprio riflesso sulle acque.
    « Tornerò mai indietro? » chiese alla sua immagine. « Rivedrò mai la mia famiglia, un giorno? »
    Tutto taceva.
    Nathan alzò gli occhi al cielo stellato: quante stelle brillavano, in quella fredda notte di dicembre! Erano tante, tantissime, e lui le conosceva tutte a memoria. Gli bastava osservare quanto e come brillavano per ricordare i nomi di ognuna di esse, ma lo sguardo dell’uomo non era per quelle stelle, la sua attenzione non era per quei pianeti stravaganti che dominavano la galassia di Asteria. Lui guardava un piccolo spazio nebuloso, laggiù, quasi ai confini di quella fetta di universo che il suo sguardo riusciva ad abbracciare. Qualcosa che solo lui conosceva, che solo lui ricordava così bene; qualcosa che portava dentro di sé da più di sessanta anni.
    Già, perché in quel piccolo buco insignificante di galassia c'era stata l'intera esistenza di Nathan. Lì era iniziata e lì era finita la sua breve infanzia, lì era stato messo al mondo, lì aveva avuto un padre, una madre, un fratello, una famiglia, e un intero popolo al suo cospetto. Lì, in quel bel pianeta dorato che una volta portava il nome della sua dinastia: Xerilia.
    Spesso i ricordi più belli per gli uomini sono anche i più dolorosi, e Nathan in questo non differiva da essi: anche adesso che del suo pianeta restava solo polvere, non riusciva a guardare quella parte di universo senza sentire un misto di emozioni diverse. Nostalgia, gioia, malinconia, amore... ma sopra a tutte le emozioni, restava il vuoto, un vuoto che gli faceva mancare il terreno sotto i piedi ogni volta che guardava la volta celeste un po’ troppo a lungo e che gli serrava il cuore in una morsa.
    È incredibile come una notte possa stravolgere un’esistenza intera. In una sola notte ho perso il mio popolo, il mio pianeta, la mia casa...
    Una leggera brezza accarezzò dolcemente i lunghi capelli biondi di Nathan, scompigliandoglieli un poco, mentre le onde del mare distorcevano e ridelineavano la sua immagine a proprio piacimento.
    Eccolo, il principe di Xerilia, si disse. Eterno ospite in un pianeta straniero, in una casa straniera, intrappolato nella sua condizione di essere straniero.
    «Morirei, se questo mi desse la certezza di poter tornare a casa» sussurrò l’uomo, con gli occhi improvvisamente appannati. « Ci ho provato, a rifarmi una vita. Ci ho provato, ma questo non è il mio posto, non sono adatto a questo mondo. »
    Nathan abbassò lo sguardo sulla superficie cristallina e immediatamente una goccia scivolò in mare, rovinando il ritratto che le onde avevano fatto di lui. Una goccia, ancora un'altra, e il suo volto era già rigato dalle lacrime: le stesse lacrime che tante volte in vita sua aveva frenato e trattenuto, quelle lacrime che avrebbe dovuto versare per la morte di suo padre, per lo sterminio della sua razza, per la scomparsa del suo pianeta sgorgavano ora incontrastate dai suoi singolari occhi d’argento. Lentamente, portò una mano sul viso, coprendolo, come se volesse nascondere anche al mare, alle stelle e all'intero universo il suo dolore. Un dolore che doveva rimanere semplicemente il suo segreto, nascosto dietro una maschera d’austerità e compostezza.
    Sospirò e cominciò ad asciugarsi le lacrime, intenzionato a non versarne delle altre, per quella notte. Ma una parte di lui, sapeva già che sarebbe stato un tentativo inutile. Sospirò di nuovo.
    Come poteva pretendere di non pensare? Di non ricordare? Proprio quella notte...?
    « Ah ah...» rise amaramente il principe di Xerilia «Sono uno sciocco. Ogni anno, è sempre la stessa storia... »
    Quella notte era il 24 dicembre, la vigilia di Natale per gran parte degli abitanti di Earth II. Ma non solo: era anche il giorno del suo compleanno, e lo stesso giorno in cui il tiranno Dogdrath, sessanta anni prima, aveva distrutto Xerilia.
    Non lo ricordava o non se ne curava più nessuno, a parte lui. Tutti gli xeriliani, di certo, ne erano al corrente, ma i morti non potevano più parlare, né serbare memorie.
    « Questo segreto è solo mio, e mio sarà per sempre » mormorò Nathan al mare che rifletteva la sua immagine.
    Probabilmente, un tempo, sarebbe riuscito a contrastare la sofferenza con la rabbia che lo aveva accompagnato in ogni minuto, ogni secondo, ogni istante della sua vita al servizio di Dogdrath: la rabbia che provava verso il tiranno, era sempre un ottimo pretesto per non pensare troppo al suo dolore. Ma ormai Dogdrath era morto da tempo, stroncato dall’epidemia che avevano portato i primi insediamenti terrestri su Earth II, e nel cuore di Nathan la rabbia era svanita, lasciando posto solo alla desolazione e alla frustrazione.
    « Non preoccuparti » gli aveva detto un compagno d’armi molti anni prima, poco dopo l’esplosione di Xerilia « un giorno ti sveglierai e ti accorgerai che sei guarito dalla tua perdita ».
    « Come no » rise a denti stretti Nathan. Quell’uomo era passato probabilmente a miglior vita, ma lui ci pensava eccome, ancora adesso, alla sua vita su Xerilia.
    Diede un calcio a vuoto sulla riva, facendo schizzare indietro un'onda che gli veniva incontro. Alcune gocce di acqua salata gli arrivarono addosso, penetrando nel tessuto scuro della sua veste e bagnandogli la gamba.
    Sono più di sessant’anni... che cerco di dimenticare, che provo a dimenticare! Ogni mattina mi alzo sperando di essere riuscito a lasciarmi il passato alle spalle, di non ricordare più nulla, di non desiderare di trovarmi ancora lì...
    Tornò a guardare il cielo, rivolgendosi a un Dio in cui non credeva.
    « Dimmelo tu! Dimmelo tu, se esisti! Dimmi cosa devo fare! Sono anni che cerco di andare avanti, di uscirne da solo! Ma... continuo a pensare... » Si interruppe, soffocando un singhiozzo. « Continuo a pensare che sarei dovuto morire allora, con loro. »
    Come altrimenti poteva spiegare quel dolore incessante? L’amore per la propria patria, per la propria gente, per la propria casa, così come il desiderio di farvi ritorno, non avevano mai lasciato il suo cuore.
    Vorrei solo appartenere ancora a qualcosa. A qualcuno.
    Mentre gli occhi di Nathan tornavano a farsi umidi, un improvviso bagliore di luce azzurra apparve a qualche metro di distanza da lui.
    Sulle prime, lo xeriliano ne fu sorpreso. Gli abitanti di Earth II erano di certo ingegnosi, avevano costruito navi spaziali, droni, e macchine oltremodo complesse e stravaganti, ma non possedevano poteri magici; ben pochi alieni su Asteria ne erano dotati e non erano terrestri.
    Non poteva che trattarsi di usa sola persona. L’unica persona che poteva dirsi quasi amica, per lui.
    « Jotham? » fece Nathan, vedendo il compagno apparire vicino alla riva del mare, attraversando un portale magico. Jotham - pressappoco suo coetaneo, biologicamente parlando - veniva dal lontano pianeta di Drada, un mondo magico ai confini più remoti di Asteria, ma viveva da quando era bambino su Earth II, adottato da una coppia di genitori terrestri. Lavorava nell’Ordine dei Maghi di Raburgh ed era praticamente il vicino della stanza accanto di Nathan, all’accademia. Quando Nathan era arrivato in quella terra, con pochi spiccioli in tasca e senza nessun posto dove andare, era stato Jotham il primo a tendergli una mano.
    « Nathan... ti ho cercato ovunque! Cosa ci fai qui a quest'ora? » chiese il ragazzo.
    Deve aver avvertito la mia presenza, notò il principe di Xerilia, sinceramente colpito dal suo incantesimo di localizzazione.
    « Il mare mi rilassa » rispose poi semplicemente, alzando le spalle.
    « Ma tra poco all’Ordine cominciano i festeggiamenti » gli fece notare Jotham, con un sorriso « Tra meno di tre ore è Natale, o l’hai dimenticato? »
    « Non ho motivo per festeggiare. È una festività che non mi appartiene. »
    « Non festeggiavi il Natale quando eri piccolo? »
    « Certo che no, su Xerilia non esisteva niente del genere. O meglio... festeggiavamo anche noi, ma per altri motivi. »
    « Davvero? E cosa si festeggiava? » Jotham si incuriosì all'istante. Era la prima volta che Nathan gli parlava del suo pianeta d'origine, e sebbene lui amasse Earth II, non poteva fare a meno di chiedersi che aspetto avesse il “leggendario pianeta d’oro” della galassia di Asteria.
    Aveva provato, qualche volta, a chiedere all’amico; sapeva che era un discendente della famiglia reale di Xerilia, ma tutte le volte che aveva chiesto informazioni sul suo passato, quello si era chiuso in un mutismo assoluto.
    « La famiglia reale » rispondeva ora Nathan, rifuggendo il suo sguardo.
    « La tua famiglia? » domandò Jotham, ancora più curioso « E per quale motivo? »
    Nathan si sentì agghiacciare a quella domanda. Non era sicuro di voler rispondere, scoperchiando di nuovo il vaso di Pandora colmo dei suoi ricordi più belli e più dolorosi.
    « Il mio compleanno » disse alla fine, con un sospiro. « In quanto principe di Xerilia, il giorno della mia nascita era un giorno di festa. »
    « Come come!? Vuoi dire che oggi è il tuo compleanno? E non me l’hai mai detto?! »
    « Non c’è bisogno di urlarlo ai quattro venti » lo ammonì subito Nathan « Non riuscirei nemmeno a sopportare l'idea di una ridicola festicciola da parte dell’Ordine. »
    « Non ti smentisci mai, tu» sogghignò Jotham. «Vuoi dirmi che negli ultimi anni non hai festeggiato neanche una volta? »
    Nathan ci rifletté su per un po’, poi rispose semplicemente: « Di solito andavo al cimitero. »
    « Cosa...? Per l’amor di Dio, Nathan, perché!? Che razza di usanze avevate a Xe... »
    « Perché Dogdrath ha distrutto Xerilia il giorno del mio ottavo compleanno. »
    Per un istante, sembrò quasi che l'aria, il tempo, lo spazio attorno a loro si fermasse. Il volto di Jotham sembrò all’improvviso molto più vecchio dei suoi anni effettivi, mentre elaborava quella notizia. Si stava rendendo conto di non sapere assolutamente nulla di Nathan, né del suo pianeta d’origine, nonostante lo conoscesse da quasi un anno.
    Passò qualche secondo, forse un minuto, o forse molto di più. Il vento si era portato via le parole di Nathan, ma il loro eco rimbombava ancora nella mente di Jotham. Adesso tante cose gli erano chiare. Aveva trovato la risposta a molte domande che si era sempre fatto e che non aveva mai osato rivolgere all’austero principe di Xerilia, la terra perduta dei guerrieri dagli occhi d’argento.
    Ancora incredulo per quella confessione, guardò il compagno senza riuscire a pronunciare una parola.
    « È successo parecchio tempo fa, a stento ormai me ne ricordo » minimizzò Nathan, davanti alla sua espressione. Quel silenzio lo metteva a disagio.
    « Nathan, io non sapevo... » mormorò Jotham con la voce bassa e lo sguardo afflitto « Non ne avevo idea. »
    « Sì, lo so. In pochi ricordano l’esistenza stessa di Xerilia, per cui, è ovvio... »
    « Mi dispiace...! » fece Jotham, e senza preavviso, strinse l’altro in un abbraccio.
    Nathan non rispose. Non sapeva cosa dire, non sapeva come sentirsi, sapeva solo che era piacevole avvertire la magia che emanava il corpo del compagno attorno a lui. Gli ricordò per un istante suo fratello minore Noah, e provò una stretta al petto di nostalgia. Stare tra le braccia di Jotham, lo riportò di nuovo a casa, dove la vita di Nathan, principe di Xerilia, era finita.
    « Se c'è qualcosa che posso fare, io... » mormorò allora Jotham, allontanandosi un poco da lui.
    « No, no... » Natham scosse piano la testa e si voltò in direzione opposta al mare, perché la luce dei satelliti non rivelasse le lacrime nei suoi occhi. « Sto bene, Jotham, davvero. Ricordo molto poco di allora. Ora però, tu dovresti tornare all’Ordine. »
    L'ultima cosa che avrebbe voluto, era che qualcuno lo vedesse così fragile. Ma non era semplice fermare quelle maledette lacrime; a Nathan sembrava di averle represse per troppo tempo.
    « Nathan, ma... » Jotham si avvicinò ancora a lui, cercando i suoi occhi.
    « Non voglio la tua compassione, okay? Sto benissimo. » Ma la sua voce tremante diceva l’esatto contrario.
    « Nathan, non voglio compatirti. Ma perché non me l’hai detto? Perché non l’hai mai raccontato a nessuno, nell’Ordine, insomma... » Jotham alzò le spalle e allargò le braccia. « Siamo compagni! »
    « Non siamo niente. » Fece Nathan, serrando i pugni. « Tu forse ti senti uguale a loro. Forse tu, qui, ti senti a casa, ma non io. Siamo completamente diversi! »
    Il volto di Jotham si contrasse in un’espressione offesa. Perché Nathan aveva usato quel tono con lui? E come si permetteva di pensare di conoscerlo così bene, quando in un anno si era interessato così poco della sua vita?
    Sei ingiusto, pensò il ragazzo, guardando l'orgogliosa figura che un tempo era stata l’erede al trono di Xerilia. Sei ingiusto, Nathan, e come sempre non ti rendi conto dell'effetto che hanno le tue parole sugli altri. Pensi solo a te stesso.
    « D'accordo » fece, stizzito, pronto a evocare un nuovo portale magico. « Se proprio vuoi, tolgo il disturbo... »
    Nathan non rispose. Abbassò la testa soffocando un timido singhiozzo. Non riuscì a fare a meno di chiedersi se stesse sbagliando, con Jotham; se avesse sbagliato così sempre, da quando Xerilia era stata distrutta. Forse, come adesso aveva respinto un compagno mosso da buone intenzioni, aveva respinto nel corso degli anni anche tutte le cose belle che la vita aveva da offrirgli.
    « Nemmeno io mi sento a casa, qui, tanto per la cronaca » lo informò Jotham, prima di andarsene. « Hai idea di quante volte sia stato discriminato, da bambino, per il mio aspetto o per i miei poteri? Hai idea di quante volte mi sia chiesto che faccia avessero i miei veri genitori? »
    Nathan sussultò, riconoscendo nelle parole dell’altro un dolore molto simile al suo.
    « Siamo diversi, Nathan, tu ed io siamo diversi da tutti gli altri. Ma non significa che dobbiamo essere soli per forza. »
    Stava quasi per compiere l’incantesimo di teletrasporto quando un rumore impercettibile, un suono smorzato, lo frenò.
    Jotham si rispose quasi prima di chiedersi che cosa fosse quel che aveva sentito. Lentamente, tornò a guardare Nathan. Aveva la testa bassa, le spalle gli tremavano leggermente a intervalli, scosse da un fremito che percorreva tutto il suo corpo.
    Piangeva.
    Nathan...
    Come poteva non averlo capito subito? Come poteva non averlo sentito? Eppure la voce, l'espressione, i modi di fare di Nathan erano ben diversi da quelli che solitamente aveva: sarebbe stato difficile non accorgersene per chi, come lui, aveva sempre avuto un occhio di riguardo nei confronti del compagno.
    Abbassò lo sguardo, osservando in silenzio i minuscoli granellini di sabbia che si andavano attaccando sulle sue scarpe e sulla veste, trasportati dalla leggera brezza di quella sera.
    « Nathan » Sospirò, dicendosi che in fin dei conti non dipendeva tutto da lui. « Vuoi che resti ancora un po’ con te? »
    Nathan soffocò a stento un altro singhiozzo, ma ormai non gli importava che Jotham lo vedesse. La sola cosa che voleva, era non restare da solo, per una volta. Annuì debolmente. Non riusciva a pronunciare una parola, ma era deciso ad ascoltare quella voce che gridava aiuto dentro di sé da troppo tempo.
    Jotham, a quel punto, non sapeva più se sorridere o rattristarsi. Se Nathan gli aveva permesso con trasparenza di aiutarlo, doveva stare davvero male.
    Stando bene attento a non avanzare di un solo passo, si rivolse ancora a lui.
    « Sai cosa penso? » disse, guardando le stelle « Penso che tu ricordi molto bene ciò che successe tanti anni fa sul pianeta Xerilia. Penso che tu non sia affatto rimasto indifferente davanti a quella strage, come penso che la tua gente ti sia mancata e continui a mancarti molto, ancora oggi... Ma perché continuare a pensare a quel giorno come una fine? Perché non cercare di vederlo come un inizio? »
    « Ci ho provato, » ribatté Nathan « Ma l’hai detto tu stesso: siamo diversi. Questo mondo non può accettarmi, come io non posso accettare lui... »
    Jotham sorrise malinconicamente.
    « Parli come se fossi intrappolato nel passato. »
    « Lo sono. Una parte di me, sa che sarei dovuto morire quel giorno, a Xerilia. »
    « Non dirlo neanche per scherzo! » fece Jotham, e stavolta si avvicinò a lui. « Va bene non dimenticare le persone che hai amato, va bene provare nostalgia, ma non pensare mai una cosa del genere! »
    Posò una mano sulla spalla del compagno. « E non vergognarti di essere triste. Il destino non si è fatto problemi a strapparti alla tua famiglia e alla tua casa quando eri ancora un bambino... Non so molto di cos’hai passato, ma so che dev’essere stato tremendo sottostare agli ordini di Dogdrath per tanto tempo. Forse tu non te ne rendi conto, ma sei stato davvero forte, in tutti questi anni... hai sempre tenuto duro fino alla fine, e questo ti fa onore. »
    « Ah ah, mi fa onore, dici... » commentò con una punta di imbarazzo Nathan, alludendo alle sue lacrime « questo secondo te mi farebbe onore...? »
    Jotham sospirò, scosse la testa, e lo abbracciò più forte di prima.
    « Smetti di essere così duro con te stesso, per l’amor del cielo. »
    Dopo qualche minuto, quando Nathan gli sembrò più tranquillo, Jotham si scostò e gli sorrise. Aveva avuto un’idea. « Ehi. Ti andrebbe di tornarci? »
    « Dove? »
    « Ma a Xerilia, è ovvio! »
    « Xerilia non esiste più, Jotham, come potrei... » S’interruppe, attonito.
    Il mago di Drada ridacchiò. « Ci sei già arrivato? Vedo che hai fatto i compiti a casa! »
    « Jotham, se stai pensando al Whisper of Illusions, sai che è un incantesimo proibito... »
    « Sono in grado di padroneggiarlo da almeno due anni, e l’ho già dimostrato ampiamente nell’Ordine. »
    « Ma perché dovresti rischiare di farti beccare!? »
    « Perché è il tuo compleanno! » Jotham indicò le luci lontane della città alle sue spalle « E poi i gran maestri in questo momento saranno tutti presi dai preparativi per Natale, non c’è migliore occasione. »
    Nathan abbassò lo sguardo, indeciso. « Non so se è il caso... »
    « Basta perdere tempo. » Jotham lo trascinò sulla spiaggia, tirandolo per un polso, e lo costrinse a mettersi a sedere sulla sabbia accanto a lui. « Torni a casa per una notte, consideralo il mio regalo di compleanno. »
    A Nathan prese a battere il cuore più forte. Sorrise debolmente. « Okay... Dimmi cosa devo fare. »
    Jotham lo invitò a distendersi. « Concentrati sui ricordi che hai di Xerilia. Pensa a un posto preciso dove vorresti tornare. Sarà come scivolare nel sonno. Io ti sveglierò diciamo tra... venti minuti. Non oso lasciarti addormentato di più, giusto per sicurezza. »
    E Nathan fece come Jotham diceva.
    Chiuse gli occhi e, mentre Jotham sussurrava la formula magica in una lingua arcaica, pensò alle terre perennemente baciate dal sole di Xerilia, al suo magnifico castello che dominava il mare di Alberrane. Pensò al dolce luogo della sua infanzia, dove tutto il mondo che aveva amato e tutto quello che lui era stato, era finito sessant’anni prima.
    E di colpo, si risvegliò lì, a casa, inconsapevole che tutto quello fosse solo un’illusione. Rivide per primo suo padre, il re di Xerilia, seduto sul suo scanno in attesa di ricevere i suoi Consiglieri. Rivide sua madre, in giardino, con la sua splendida veste color avorio che le ricadeva morbida fino alle caviglie. Riabbracciò Noah, suo fratello, e giocò con lui negli enormi corridoi del palazzo come se non se ne fosse mai andato da casa.
    Il tempo scivolò dolcemente in quel sogno ad occhi aperti, in cui Nathan si sarebbe volentieri perso per sempre.
    Sulla spiaggia di Leadenport, fermo sotto le luci pallide dei satelliti di Earth II, Jotham vegliò sul compagno fino allo scadere del tempo che si era prefissato.
    Nathan aveva un’espressione dolce e serena dipinta sul viso, ed era bello come un angelo.
    Forse, prima o poi, sarebbe riuscito a confessargli i suoi sentimenti. Forse, sarebbe riuscito ad avvicinarlo come voleva.
    « Nathan » sussurrò di nuovo, accarezzando il viso pallido del compagno, incorniciato da capelli così chiari che alla luce del sole sembravano albini « Nathan, svegliati. »
    Ma il ragazzo non accennava a riaprire gli occhi.
    Un’acuta paura si insinuò repentinamente nel cuore di Jotham, che ripensò alla confessione del compagno, prima che si addormentasse.
    « Sarei dovuto morire con loro a Xerilia. »
    Aveva detto davvero così?
    Jotham si diede dello stupido. L’incantesimo delle illusioni era pericoloso soprattutto per chi covava profondi dispiaceri, per chi aveva traumi irrisolti nel suo passato. Nathan era probabilmente la persona meno indicata su cui sperimentare una magia proibita.
    « Nathan, ti prego, torna indietro! » esclamò ora con un groppo in gola Jotham, mentre scuoteva il corpo del compagno « Torna da me, Nathan... »
    Dopo quelli che sembrarono lunghi e interminabili secondi, le dita del ragazzo si mossero. Una smorfia comparve sul volto di Nathan, un attimo prima che riaprisse gli occhi.
    « Jotham...? » mormorò.
    « Dio, Nathan! » urlò quello, abbracciandolo con un impeto d’apprensione « Mi hai fatto prendere un accidenti. Cominciavo a pensare che non ti saresti svegliato! »
    Nathan ricambiò la stretta, incerto. « Ho rivisto Xerilia... i miei genitori... mio fratello. »
    « È stato bello? » chiese Jotham, senza sciogliere la stretta.
    Nathan sorrise. « Come un sogno. È stato bellissimo tornare... Grazie. »
    « Figurati. Ma non chiedermi di rifarlo! »
    Nathan si scostò da lui. « Nemmeno l’anno prossimo? »
    Jotham ci rifletté su per un po’. « Beh... sono contrario a riproporre gli stessi regali di compleanno, ma se proprio vuoi... »
    Un sorriso si illuminò sul chiarissimo volto di Nathan.
    « Ad una condizione » aggiunse subito Jotham « Mi devi promettere che ti sveglierai, sempre. Posso farti rivivere a Xerilia in un sogno anche per tutta la notte, ma non devi perdere di vista la realtà, Nathan. La tua vita è qui, su Earth II, adesso. »
    « Lo so » fece Nathan, abbassò lo sguardo e le ombre ricomparvero nei suoi occhi d’argento « La mia vita su Xerilia è finita molti anni fa. »
    « Ma ne è cominciata una nuova, qui » gli ricordò Jotham, sollevandogli un poco il mento tra due dita. « Forse tu non te ne rendi conto, ma noi dell’Ordine teniamo a te. E sono sicuro che sarebbero tutti molto felici di festeggiarti, non come principe di Xerilia, ma come un amico. »
    Nathan restò impassibile, ma il suo cuore aveva ripreso a battere un po’ più forte, adesso.
    « Dacci una chance, Nathan, okay? È questa la condizione, se vuoi tornare a Xerilia un’altra volta con la mia magia. »
    « D’accordo » promise Nathan, abbozzando un timido sorriso.
    Si stirò sulla sabbia di nuovo, guardando le stelle lontane risplendere come piccole lucciole nelle sere d’estate.
    Jotham lo trovò bellissimo, e si costrinse a non fissarlo, nel timore di arrossire da un momento all’altro. Si sdraiò accanto a lui, puntando il cielo stellato.
    « Non torni a festeggiare con gli altri? »
    « Solo se vieni anche tu. »
    « Jotham, io il Natale non... »
    « Chi se ne importa se non lo festeggi? Neanche io sono religioso, è solo un’occasione per stare con le persone che ami e per mangiare cose buone e per aprire i regali. »
    Nathan ridacchiò. « Più o meno quello che si fa per una festa di compleanno. »
    « Esattamente! »
    Calò il silenzio e i due rimasero per un po’ ad ascoltare il rumore delle onde infrangersi sugli scogli lontani. Era come un lenitivo per l’anima, che li cullava e li rasserenava.
    « Puoi indicarmi dov'era? » chiese ad un tratto Jotham a Nathan.
    « Cosa? »
    « Xerilia, la tua terra. »
    « Oh... » si sorprese Nathan. Era la prima volta che qualcuno glielo chiedeva. « Certo. Vedi quella costellazione lassù? Quella con la stella Eather a sinistra? »
    « Parla la mia lingua. »
    Nathan rise di cuore. Dimenticava che l’istruzione pubblica non prevedeva lo studio delle costellazioni, su gran parte di Earth II. In qualche modo, comunque, alla fine riuscì a indicargli la posizione del suo pianeta - o almeno, credette che Jotham l’avesse individuata.
    « Se mai dovessimo viaggiare nello spazio, mi piacerebbe tornarci, anche solo per vedere cosa ne è rimasto... » fece pensieroso Nathan.
    « Riuscirai sicuramente » disse Jotham, « Ma spero che quel giorno, potrai dire ai tuoi che stai bene, che sei felice, e che ti piace vivere qui a Leadenport. »
    Nathan sorrise. « Lo spero anche io. » Tacque qualche istante, poi, chiese al compagno: « Tu sei mai tornato a Drada? »
    « No » rispose Jotham. « Perché avrei dovuto ? »
    « Non sei curioso di conoscere la tua terra? La tua gente? »
    Jotham non ci rifletté troppo su. « Molte volte mi sono chiesto com’è. Molte volte ho pensato di andarci. Ma la mia terra è questa, i miei genitori, i miei amici, sono qui. »
    Il mago sospirò, poi rivolse un sorriso a Nathan: « Ti sembrerà strano, ma per quanto sia stato difficile, in passato, per quanto a volte mi sembri di non poter appartenere a questo pianeta, è qui che voglio restare. A Drada la mia vita non è mai cominciata, quindi no, non sento il bisogno di andarci. »
    Nathan incrociò le braccia dietro la testa, senza smettere di guardare il cielo. « Ti ammiro, Jotham. »
    « Sono solo stato più fortunato di te » disse il ragazzo scuotendo la testa. « Non ho mai conosciuto la guerra... e spero di non conoscerla mai. Tu sei da ammirare. »
    Nathan ignorò l’ultimo commento, soffermandosi invece a pensare alla guerra e a cosa avevano dovuto passare i popoli piegati da Dogdrath. Pensò a quanta gente, come a lui, erano venuti a mancare i propri affetti, a quanti bambini erano rimasti orfani. Pensò agli schiavi, a interi mondi che avevano dovuto rinunciare alla propria libertà per la sopravvivenza.
    « Credo di capire perché quell’incantesimo è proibito » mormorò a Jotham.
    « Whisper of Illusions? »
    « Sì. In questo mondo, anzi, probabilmente nell’intera Asteria c’è gente che sta soffrendo per le cose che ha perduto durante la grande guerra... Con un simile dolore nel cuore, non mi sorprende che tante persone non riescano a svegliarsi dal sonno indotto dalla magia. »
    « Tutti vogliono tornare indietro, dove tutto è finito... »
    « Esatto. » Nathan si rese conto di non essere poi così solo come aveva sempre pensato. Probabilmente, quella sensazione lo accomunava a molti altri, anche se non erano figli di Xerilia.
    « Non è del tutto sbagliato, sai. Credo che sia giusto mantenere vivo il ricordo dei luoghi e delle persone che abbiamo amato » disse Jotham, cercando ora lo sguardo del compagno. « Ma non bisogna mai dimenticare che per ogni fine c’è un nuovo inizio, e noi siamo sempre in tempo per ricominciare. Per regalare alla nostra vita un finale migliore, finché siamo vivi. »
    « Vivere per regalarci un finale migliore... Non ti facevo così profondo, lo sai? »
    Jotham ricambiò il sorriso di Nathan, finalmente felice. Lo convinse a tornare con lui all’Ordine e mentre erano in cammino, lungo la strada, mentre il rumore della risacca copriva i loro passi e un venticello leggero sfiorava i loro volti, cercò la sua mano.
    Prima o poi, sarebbe riuscito a dare a Nathan più motivi per guardare avanti, senza voltarsi indietro.
     
    Top
    .
0 replies since 29/3/2020, 19:48   16 views
  Share  
.