Di famiglie bizzarre e peccaminose convivenze

Devil May Cry

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    Fandom: Devil May Cry

    Titolo: Di famiglie bizzarre e peccaminose convivenze

    Rating: NSFW

    Avvertimenti: Incesto

    Genere: Slice of Life, Romantico, Introspettivo

    Pairing: Vergil/Dante

    Wordcount: 4000


    COWT Settimana 5, Missione 1: L'imprevisto dietro l'angolo





    Era un'assolata domenica mattina di giugno e Nero camminava a piedi lungo la strada che dal rifornimento di benzina di Crenfole portava all'agenzia di cacciatori di demoni di Dante, la Devil May Cry. In una mano reggeva una busta di plastica, nell'altra una teglia coperta di carta stagnola. La busta conteneva una bottiglia di vino rosso comprata al minimarket davanti al benzinaio, dove Nico si era fermata a rimpinguare il serbatoio del camper; la teglia teneva in caldo uno degli ultimi manicaretti di Kyrie: pizza con salame piccante fatta in casa, sfornata e incartata nemmeno tre ore prima.
    Nero e Kyrie avevano programmato di fare un picnic fuori città assieme all'inseparabile Nico, approfittando del bel tempo primaverile, e visto che Crenfole era grosso modo di passaggio sulla strada per la loro destinazione, Vallombrosa, la sua ragazza aveva insistito perché sostassero in città e lasciassero il pranzo anche a Dante e a Vergil, che vivevano insieme alla Devil May Cry.
    «Chissà come se la cavano quei due, da soli» aveva detto Nico poco dopo la partenza, mentre guidava il camper lungo la statale per Crenfole, esternando un pensiero che Nero si era posto spesso negli ultimi quattro mesi - ossia da quando suo padre Vergil e suo zio Dante erano tornati a vivere sulla Terra, dopo un lungo soggiorno nell’Underworld durato un anno.
    Il devil hunter aveva constatato, insieme a Lady e a Trish che conoscevano i figli di Sparda meglio di lui, che il rapporto tra i due gemelli sembrava notevolmente migliorato rispetto al passato. A loro avviso era già emblematico il fatto che Dante e Vergil fossero tornati tutti interi dall'Inferno e non avessero più ingaggiato battaglie fratricide all’ultimo sangue da quando vivevano sulla Terra. Stavano tenendo fede alla promessa fatta a Nero, dopotutto.
    Certo però che vivere con quel cazzone perdigiorno di Dante non doveva essere facile: era questo a preoccupare più di tutto il giovane cacciatore di demoni della Devil May Cry su ruote.
    Dalle sporadiche visite fatte a suo zio prima di venire a conoscenza del loro legame di parentela - cioè prima del Qliphoth, di Red Grave e del ritorno di Vergil – Nero ricordava che Dante viveva in condizioni a dir poco disastrose.
    Tanto per cominciare, il mezzo-demone era sempre al verde: stato che si traduceva in bollette non pagate, con conseguente taglio di fornitura idrica ed elettrica una settimana sì e l'altra pure. In secondo luogo, Dante viveva alla giornata, sotto tutti i punti di vista: non puliva, non conosceva il concetto dell’ordine, lavava i vestiti una volta al mese alla lavanderia self service (se aveva i soldi per farlo), mangiava schifezze di ogni sorta perché non aveva mai imparato a cucinare nemmeno un uovo sodo. In realtà, Nero sapeva che Dante, data la sua natura per metà demoniaca, non aveva fisiologicamente bisogno di mangiare, ma non lo riteneva un buon motivo per non fare la spesa e per non tenere nulla in frigo che non fossero acqua e superalcolici. Soprattutto, considerando che in fin dei conti suo zio amava mangiare: si rimpinzava costantemente di pizza (il suo piatto preferito) e di cibo d'asporto; ragione per cui, anche quando guadagnava, le banconote non facevano in tempo a toccare il suo portafoglio o il fondo di un cassetto della sua scrivania.
    E quanto alle condizioni igieniche dell’agenzia, beh, Nero era pronto a scommettere che Dante non avesse mai pulito il locale in vita sua. E no, di nuovo, non era una giustificazione valida il fatto che non potesse – presumibilmente - buscarsi allergie o infezioni per le sue difese immunitarie iper resistenti: Dante non puliva perché era pigro e basta. Le uniche a sbracciarsi per tenere la Devil May Cry un luogo quantomeno presentabile erano state Patty, in passato (quando, tanti anni fa, viveva ancora con Dante), e Lady e Trish, che assieme a Morrison avevano gestito l’agenzia durante l’anno di assenza del mezzo-demone, e che avevano sempre pagato qualcuno per le pulizie.
    Ora però la Devil May Cry era tornata nelle mani del legittimo proprietario - o meglio, dei proprietari, perché Dante aveva incredibilmente deciso di mettersi in società con Vergil - e Nero era pronto a scommettere che suo zio fosse tornato a ristabilire il suo ecosistema del caos.
    Non gli sarebbe importato più di tanto, se quella fosse rimasta solo la sua tana; dopotutto, lo stabile era di Dante. Sua la casa, sue le regole, sua la mancanza di igiene. Però, quando aveva capito che Vergil sarebbe andato a vivere con lui, Nero non aveva potuto fare a meno di impensierirsi. Non conosceva ancora così bene suo padre, ma aveva conosciuto discretamente V, e non gli era parso affatto il tipo di persona che amasse vivere nella sporcizia e nella trasandatezza. Lady e Trish, in seguito, gliene avevano dato conferma: Vergil, per quello che sapevano di lui, era l'opposto di Dante in tutto e per tutto, anche sotto il punto di vista dell’ordine e della pulizia.
    Se si univa tutto questo al fatto che i due figli di Sparda fossero eterni avversari e riuscissero a litigare per ogni sorta di inezia, il disastro della tentata convivenza era praticamente già annunciato.
    Per questo Nero aveva proposto a Vergil di venire a vivere con lui e Kyrie a Fortuna, qualora non si fosse trovato a proprio agio a vivere con Dante. Vergil tuttavia aveva declinato l’offerta, ringraziandolo e promettendogli che avrebbe riconsiderato la sua proposta se vivere col fratello sarebbe risultato insostenibile. Sorprendentemente, però, a distanza di quattro mesi, vivevano ancora tutti e due sotto lo stesso tetto.
    «Non vorrei parlare troppo forte, ma mi sono sembrati in discreti rapporti» gli aveva detto Lady, la prima settimana di maggio, quando era venuta a Fortuna per acquistare nuove armi da Nico. Trish si era detta d’accordo con la compagna, e aveva aggiunto che per la prima volta in oltre trent’anni di carriera, Dante era in regola con i pagamenti delle bollette. Per merito di Vergil.
    «Credo che tu possa stare tranquillo, Nero» gli aveva poi confidato Kyrie con un sorriso, la prima volta che aveva conosciuto suo padre e suo zio. «È vero, litigano spesso, ma in fondo... a me sembra che si vogliano un gran bene.»
    Nero non ne era altrettanto sicuro - le immagini di Dante e di Vergil che combattevano furiosamente sulla cima del Qliphoth per uccidersi, carichi di astio e di rancore, era ancora indelebile nella sua memoria - ma sperava con tutte le sue forze che le ragazze avessero ragione.
    «Sai cosa? Dovresti andarli a trovare a Crenfole più spesso!» aveva proposto quella volta Nico. «Solo così capirai come vanno veramente le cose tra loro.»
    E Nero lo avrebbe fatto proprio a partire da quella mattina. In fondo, sapeva benissimo che la consegna del pranzo era solo una scusa servita su un piatto d’argento da Kyrie.
    Spero solo che siano in casa... si disse, mentre svoltava in via White Guelfs e giungeva infine dinnanzi all’imponente facciata in stile retrò dell'agenzia Devil May Cry.
    Nero aveva provato a telefonare per avvisare padre e zio del suo arrivo durante il viaggio, ma la linea del telefono era risultata occupata per tutto il tempo. Probabilmente avevano riposto male la cornetta.
    Diede un’occhiata all’orologio da polso e vide che era da poco passato mezzogiorno. Dante era un animale notturno e in genere poltriva fino a tardi – soprattutto la domenica mattina - ma a quell’ora non sarebbe stato insolito trovarlo seduto al ristorante di Fredi per il pranzo.
    Per fortuna ho le chiavi.
    Il devil hunter salì i tre gradini di fronte all'ingresso, pensando che se non avesse trovato nessuno avrebbe lasciato la pizza sulla scrivania; Vergil e Dante avrebbero sempre potuto mangiarla per cena. Ancora prima di raggiungere il campanello, però, seppe che dentro c’era qualcuno: la musica hard rock degli AC/DC rimbombava ad un volume esagerato dall'altro lato della porta, togliendogli qualunque dubbio.
    Nero scrutò perplesso il pomello scosso dalle vibrazioni sonore. Quello era esattamente il genere di cose che piaceva a un tipo come Dante, ma… Vergil? Ci stava bene in quel putiferio acustico?
    Beh, se non altro non ho fatto un viaggio a vuoto, pensò, suonando il campanello sulla destra dell’ingresso.
    Com'era prevedibile, non ottenne risposta.
    Insistette, pigiando più volte e a lungo il pulsante, ma la musica all'interno era troppo alta: non lo avrebbero sentito nemmeno per la grazia divina. Nero allora passò la busta nella mano sinistra, tenendo contemporaneamente la teglia di pizza contro il petto. Con la mano destra libera chiusa a pugno, picchiò forte sul portone.
    «Ehi, voi due! Mi sentite?»
    A rispondergli, solo le urla di Bon Scott che affermava di essere sull'autostrada per l'Inferno: decisamente azzeccato per quei due bastardi.
    «Dante! Pa... Vergil!» Nero non si era ancora abituato a chiamare Vergil papà, e l’appellativo 'padre' gli sembrava ormai un po' troppo formale.
    Coglioni... vi beccherete di sicuro una denuncia per disturbo alla quiete pubblica! O forse la mancanza di edifici nelle immediate vicinanze dell'agenzia li avrebbe salvati? Affari loro.
    Nero smise di tentare e cominciò a cercare le chiavi in tasca. Lady gliene aveva data una copia più di un anno prima, quando Dante aveva lasciato la Terra con Vergil. «Giusto per sicurezza» aveva detto «Dopotutto, tu sei un affiliato della nostra agenzia di cacciatori di demoni: se ci fosse qualche emergenza, è bene che tu abbia le chiavi della sede principale.»
    Nero non aveva mai usato quelle chiavi e di lì a due secondi rimpianse di persino di averle mai avute.
    Ignaro di cosa lo attendeva dietro il portone, l’ex Cavaliere dell’Ordine di Fortuna inserì la chiave nella toppa e la ruotò. La porta in pesante legno massello della Devil May Cry cigolò aprendosi, quasi lasciandosi sfuggire una risatina maliziosa, ma il suono assordante degli amplificatori la coprì.
    «Ehi! Si può...?»
    Nero entrò, e come varcò la soglia dell’agenzia gli si congelò il sangue nelle vene.
    Sbarrò gli occhi, il respiro mozzato in gola, il volto completamente paonazzo. La sua presa sulla busta venne meno e la bottiglia di vino che conteneva cadde in terra, spaccandosi con un rumore secco sul pavimento. Nello stesso momento, il suono della chitarra elettrica cominciò a scemare, assieme alle ultime note della canzone Highway to hell al juke-box.
    Le labbra di Nero si spalancarono in una "O" che era la massima espressione dello stupore, dello scandalo e dell’orrore che in quel momento si avvicendavano nella sua testa, e così rimasero per un numero incalcolabile di secondi.
    Non è vero. Non ha senso. È sicuramente colpa dello spinello di Nico: lo sai che ti fa male respirare quella merda!
    Ma per quanto una parte di lui insistesse a dirgli che non c'era alcuna possibilità che ciò che stava vedendo fosse reale, che dovesse necessariamente trattarsi di un sogno disturbato e disturbante, un'altra parte di lui sapeva benissimo che non era così. Perché stava continuando a succedere davanti ai suoi occhi.
    «...Dante...? Papà...!?»
    Sarebbe stato più normale se li avesse trovati infilzati dalle rispettive spade, immersi in una pozza di sangue. Sarebbe stato terribile, certo, ma comunque più sensato ritrovarli mutilati, fatti a pezzi per tutta la casa, e invece no.
    «...Nero...?»
    Invece, Dante era piegato in avanti sulla scrivania nel bel mezzo del suo ufficio, completamente nudo, e gemeva di sonoro piacere mentre Vergil lo penetrava con foga.
    Suo zio.
    Suo padre.
    Loro due...
    Stavano scopando.
    Nero si sentì mancare la terra sotto i piedi. Per un istante, ebbe la netta impressione che anche le sue gambe, assieme alla parte inferiore della sua mascella, avrebbero ceduto. Ma non accadde. In qualche modo, riuscì a restare in piedi mentre fissava come ipnotizzato suo padre che fotteva suo zio come se fosse la cosa più bella e normale del mondo.
    «Ma che... CAZZO...!?!»
    Fu il contatto visivo con lo sguardo eccitato di Vergil a dargli la scossa definitiva, a convincerlo che sì, tutto ciò che si stava consumando davanti ai suoi occhi era maledettamente, oscenamente vero.
    Nero distolse finalmente lo sguardo, con l'unico impulso di scappare. Troppo l’imbarazzo, troppa la vergogna, troppo lo shock di vedere i due fratelli così, nudi e ancora nell’atto di copulare, a fissarlo come se lui fosse l'anomalia lì dentro.
    Anche l’incarto con la pizza gli cadde dalle mani, ma Nero non sentì neanche il rumore della teglia che toccava terra.
    Si voltò su se stesso e uscì di corsa, sbattendosi il portone della Devil May Cry alle spalle, sordo alla voce di suo padre che lo chiamava.

    Durante tutto il picnic Nero non spiccicò una parola. La giornata era stata splendida, la pizza di Kyrie squisita, la compagnia di Nico irriverente e allo stesso tempo piacevole, ma lui non era riuscito a togliersi per un attimo di mente quello che aveva visto alla Devil May Cry e, nonostante avesse cercato di dissimulare il suo turbamento, parve chiarissimo tanto alla sua fidanzata quanto alla sua migliore amica che fosse successo qualcosa di sconvolgente nel locale di Dante.
    Né Kyrie né Nico, comunque, erano riuscite a cavargli fuori uno straccio di confessione: Nero continuava ad essere turbato, e parlare lo avrebbe sicuramente aiutato ad alleggerire un po' il peso del segreto scabroso, ma nonostante tutto, era deciso a tutelare la privacy di Dante e Vergil.
    Dopo il picnic, quando il sole aveva cominciato ad accendere suggestivi riflessi arancioni sulle rigogliose chiome dei boschi di Villaombrosa, Nero ricevette la telefonata di Vergil.
    «Nero... Dobbiamo parlare» gli aveva detto telegrafico suo padre, e Nero si era trattenuto dall'esplodere in una risata isterica. Probabilmente, se dall'altro capo della cornetta ci fosse stato Dante, l'avrebbe fatto; gli avrebbe risposto che no, non c'era un cazzo da parlare perché aveva compreso PERFETTAMENTE come ingannavano il tempo quei due vecchi pervertiti la domenica mattina. Ma al telefono c'era suo padre, una persona seria, ragionevole, autorevole; se Nero lo conosceva almeno un poco, di sicuro ora si sentiva mortificato per l'accaduto, e con quella telefonata stava dando prova di maturità. Così Nero si era limitato a rispondere: «Sì, dobbiamo. Ma senza di lui.» Pensando: Affrontiamo un coglione alla volta, grazie.

    Così ora, a tre giorni di distanza da quella bislacca domenica mattina, Nero sedeva in un angolo appartato del Bull's Eyes Bar di fronte Vergil, a sorseggiare una birra fredda offerta da lui.
    «Grazie per essere venuto» esordì suo padre, e Nero per un attimo rivide in lui i modi gentili ed educati che aveva conosciuto e apprezzato in V.
    «Nessun problema», replicò, cercando una posizione più comoda sulla sedia. Per assurdo, Vergil lo guardava dritto negli occhi, mentre lui non ci riusciva, perché si sentiva a disagio. Si schiarì la voce, sperando che suo padre non lo notasse troppo. «Allora... Da quanto va avanti? Insomma, tra te e lui...»
    Vergil lo guardò e attese un paio di secondi, come se volesse essere certo di avere ricevuto per davvero una domanda così personale. «Da un po'»
    «Vale a dire...» incalzò lui «Da quando siete all'Inferno? È cominciato lì?»
    Vergil stirò leggermente le labbra in un sorriso che Nero non riuscì ad interpretare. «Non proprio.»
    Il giovane devil hunter cominciò a spazientirsi e sbuffò, bevendo un lungo sorso dalla bottiglia di birra e pulendosi il muso sul dorso della mano. «Senti, non devi parlarmene per forza se non ti va. Ma sono venuto da Fortuna appositamente perché me lo hai chiesto tu...»
    «Quanti anni hai, Nero?» chiese di punto in bianco Vergil.
    Quello ammutolì. Poi alzò le spalle e scosse la testa, irritato per il cambio d'argomento improvviso. «Perché me lo chiedi? Sono abbastanza grande per guardare film porno, e anche per non scandalizzarmi a parlare di certi argomenti, se è di quello che ti preoccupi!»
    «Non è per quello. Dimmi quanti anni hai.»
    Il ragazzo sospirò, esasperato. «Ventisei.»
    Vergil abbassò per un attimo lo sguardo sul suo bicchiere - lui non andava pazzo per la birra, ma quando la beveva, non lo faceva mai direttamente dalla bottiglia - e rispose: «Allora diciamo che è iniziato ventisette anni fa, circa.»
    «Cosa!?»
    «...Ma come sai, io e lui ci siamo persi di vista per molti anni» proseguì Vergil, senza interrompersi. «Dunque, per rispondere alla tua domanda, nell'ultimo anno all'Inferno abbiamo ripreso qualcosa che era cominciato molti anni fa, sulla Terra.»
    Nero ammutolì, elaborando silenziosamente la risposta. Questo metteva il rapporto tra suo padre e Dante sotto una prospettiva completamente diversa.
    Vergil non gli mise fretta. Bevve anche lui un po' di birra e posò di nuovo il bicchiere sul tavolino.
    «Credevo che voi vi odiaste» disse alla fine Nero, frastornato, puntando gli occhi in quelli del padre. «Non avete cercato di uccidervi per tutta la vita? O mi sono perso qualcosa?»
    «Grosso modo è così.» Rispose Vergil, pensieroso, senza dare ulteriori spiegazioni.
    A quel punto Nero sbottò, animandosi: «Come è possibile che due persone che si odiano tanto finiscano a... a...»
    «A fare l'amore?»
    Nero arrossì violentemente e fu costretto di nuovo a rifuggire lo sguardo del padre. «Beh... Sì.»
    Vergil sorrise, calmo e flemmatico. Se era in imbarazzo a parlare di quegli argomenti della sua sfera privata, il suo volto non lo tradiva affatto. «Me lo sono chiesto anche io. Tante di quelle volte che ormai ne ho perso il conto.»
    Nero abbozzò una risata nervosa. «Insomma... non lo sai nemmeno tu.»
    «Già...»
    «E che mi dici di lui?»
    «Non lo sa nemmeno lui. Forse, non si è mai posto il problema.»
    «Oh, non stento a crederlo» commentò aspro Nero, pensando a Dante «Continuo a chiedermi perché non mi ha mai parlato di te in tutti questi anni, quello stronzo!»
    «E cosa avrebbe dovuto dirti, di preciso?» fece allora Vergil, guardandolo con occhi acuti e severi, tanto che Nero ebbe l'impressione che volesse fargli una ramanzina tra le righe per aver insultato Dante. «Che tuo padre ha spalancato le porte dell'Inferno per la sua sete di potere, rischiando di scatenare l'Apocalisse sulla Terra?»
    «Avrebbe potuto dirmi che esistevi, tanto per cominciare!»
    «Non ti ha detto niente per proteggerti, Nero.»
    Nero sbuffò, lasciandosi ricadere con la schiena contro la vecchia parete del bar. Sapeva che era la verità. Da quello che Lady gli aveva raccontato, Vergil era stato un fottuto stronzo già molto tempo prima di diventare Urizen e di gettare nel caos e nella disperazione Red Grave City. Probabilmente Dante aveva pensato che per lui sarebbe stato meglio credersi orfano, piuttosto che venire a sapere che suo padre andava in giro a seminare morte e devastazione. «...Avrebbe almeno potuto dirmi che eri importante, per lui. Insomma... stavamo quasi per ucciderti, a Red Grave...»
    «Avreste avuto tutto il diritto di farlo.»
    «Perché dici questo?»
    «Perché è la verità.» Vergil adesso parlava senza riserve e senza mezzi termini, con una capacità di autocritica che probabilmente non avrebbe avuto - o non sarebbe stato disposto ad usare - senza l'esperienza nei panni di V. «Dante ha provato molte volte ad appianare i nostri dissapori, inutilmente. Aveva tutte le ragioni per volermi morto. E per non parlarti di me.»
    «D'accordo...» si placò alla fine Nero, tornando ad addossarsi al tavolo con le braccia conserte. «Diciamo che era in buona fede. Ma siamo una famiglia, adesso, perciò basta con i segreti e con le mezze verità.»
    «Sta bene.» Vergil sorrise ancora, sfiorando con la punta delle dita un lato del bicchiere. «A proposito di questo... Volevamo dirtelo, di noi. Da quando siamo tornati. Ma comprendi che non fosse un argomento semplice da affrontare. Probabilmente però abbiamo aspettato troppo...»
    Nero arrossì di nuovo, ma tutto sommato riuscì a controllarsi meglio di prima.
    Volevano dirglielo. Dirgli cosa? Che stavano insieme? Che erano a tutti gli effetti una coppia, o che scopavano nel tempo libero?
    Non era né bello né facile da chiedere, ma il devil hunter sentiva il bisogno di saperlo.
    «Senti, non per farmi i fatti vostri, ma... lo fate per sport? Voglio dire...» Nero si grattò la nuca, guardando distrattamente i pochi clienti seduti agli altri tavoli, e abbassò ancor di più la voce. «Siete scopamici, o qualcosa del genere?»
    Vergil inarcò un sopracciglio, contrariato da quel termine. «Parla in un linguaggio più consono.»
    «Sto cercando di capire» ritentò Nero, sentendosi accalorare le guance «Se quello che vi ho visto fare l'altro giorno è mosso solo dall'istinto carnale o da qualcos'altro. Sentimenti, sai.»
    Vergil assunse di nuovo quell'espressione vagamente incredula che aveva all'inizio del discorso. Poi sorrise. Un sorriso strano, sereno... quasi dolce. «Entrambi.»
    «Oh» lo sguardo di Nero si ammorbidì e azzardò a cercare nuovamente gli occhi di Vergil. «Okay, allora... siete una coppia fissa?»
    «Suppongo di poter dire di sì.»
    Il cuore di Nero prese a battere un po' più forte, adesso. «Bene.» Si schiarì la voce. «Sono contento per voi. Però, la prossima volta, se avete voglia di farlo in quel modo, mettete un avviso di non disturbare davanti alla porta, cazzo!»
    Vergil abbozzò una risata e scosse la testa. «Mi dispiace per quello che hai visto. Mi assicurerò che non succeda di nuovo.»
    «Non preoccuparti. Voglio dire, è stata una bella 'sorpresa', ma te l'ho detto, non mi scandalizzo!»
    «Non ti crea disturbo?» chiese allora Vergil, sinceramente curioso.
    «Che cosa?» Nero fece un sorriso timido e comprensivo allo stesso tempo «Che siete due uomini? O che siete fratelli?»
    «Entrambe le cose» ripeté Vergil.
    «Beh... Certamente non siete la coppia più normale a questo mondo. Ma no, non mi disturba.» Nero alzò le spalle. Lo avrebbe disturbato molto di più se quel rapporto fosse stato basato esclusivamente sul sesso, ma questo preferì tenerselo per sé. «La mia migliore amica è lesbica, ed è la persona più apposto che io conosca. E riguardo all'essere fratelli...»
    Nero sospirò, massaggiandosi un lato del collo con un palmo della mano. «Hai presente Kyrie?»
    «La tua fidanzata?»
    «Sì. Io sono stato cresciuto dalla sua famiglia, quando ero ancora un bambino» raccontò Nero «Anche se non siamo consanguinei, praticamente lei per me è sempre stata una sorella. Grazie al cielo non tutti a Fortuna lo sanno, o in pochi se ne ricordano. Ma ai tempi dell'Ordine, molti consideravano la nostra relazione alla stregua di un incesto.»
    «Oh.»
    «Già...» commentò Nero con un sorriso «Lo trovi strano?»
    «No» fece Vergil, ricambiandolo con la stessa espressione. «Solo una curiosa coincidenza.»
    Nero ridacchiò. Poi, d'istinto, afferrò la bottiglia di birra da 66cl e la protese verso il padre per fare un brindisi. «Alle famiglie bizzarre e... alle peccaminose convivenze!»
    Il mezzo-demone avvicinò il bicchiere e lo fece tintinnare contro la bottiglia. Mentre lo faceva, il suo sorriso divenne pieno e sincero, e Nero notò per la prima volta da quando lo conosceva che Vergil, quando sorrideva di cuore, era la copia perfetta di Dante.
    Bevvero entrambi, fino all'ultimo sorso di birra, godendosi qualche prezioso secondo di silenzio colmo d'intesa e di accettazione.
    «Ringrazia Kyrie da parte nostra, a proposito» disse dopo un po' Vergil. «La pizza era ottima.»
    «L'avete mangiata?» chiese Nero, ricordandosi solo adesso di aver fatto cadere la spesa sull'uscio della porta della Devil May Cry, quella domenica mattina che già sembrava distante anni luce.
    «Era ben incartata. Sarebbe stato un peccato lasciarla lì.»
    «Riferirò. Kyrie ne sarà molto contenta e... scusami per il vino.»
    «Non pensarci» fece Vergil, alzandosi per andare a pagare il conto. «In ogni caso, ha pulito Dante.»
    Nero sbatté le palpebre, stupito. «No. Non ci credo!»
    «Oh, sì» sogghignò Vergil. Non disse a Nero che la bislacca idea di fare sesso sulla scrivania era stata una trovata scema del fratello. «Credimi, se lo meritava.»
    «E lui lo ha fatto? Intendo dire, hai dovuto frustarlo, infilzarlo, o costringerlo con la forza?»
    Vergil alzò le spalle. «No, gli ho detto di farlo e basta. Presumo che sapesse anche lui di meritarlo.»
    Nero rise immaginandosi la scena. Poi, prima di seguire il padre al bancone del bar ammirò di nuovo il suo sorriso con una gioia inesplicabile nel petto.
    "A me sembra che si vogliano un gran bene."
    Come sempre, Kyrie aveva ragione.
    Dante e Vergil si amavano, e non importava quanto fosse assurda, profana e bizzarra quella storia familiare.
    Erano felici, questa era l'unica cosa che contava davvero.
     
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