Un mondo solo nostro

Devil May Cry

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1.  
    .
    Avatar

    The storm is approaching

    Group
    Administrator
    Posts
    11,895
    Location
    Red Grave

    Status
    Anonymous
    Fandom: Devil May Cry

    Titolo: Un mondo solo nostro

    Rating: SAFE

    Pairing: Dante/Vergil

    Avvertimenti: Incesto

    COWT Settimana 3, Missione 2: Tramandato per l'eternità





    Il cielo era nero e gonfio di pioggia, come ogni giorno nelle terre maledette di Hel. Una nebbia sottile avvolgeva il Náströnd, la riva dei morti, ma era destinata ad infittirsi di lì a poco, prima che sul mondo degli uomini giungesse la mezzanotte.
    Tra le grida disperate dei dannati dilaniati dalle lame del fiume Sliðr e azzannati dalle fauci del malefico Níðhöggr, uno scontro si svolgeva indisturbato sulla spiaggia bianca come polvere d'ossa. Uno scontro non per caso tenuto nascosto nelle fitte nebbie di quel mondo, non per coincidenza mascherato dalle urla degli assassini e degli adulteri che su quelle acque venivano orrendamente torturati.
    Mai nessuno avrebbe approvato quello scontro. Non Odino dalle sale splendenti di Asgard, e certamente non i sovrani direttamente interessati, il gigante di fuoco Surtr e la regina dell'oltretomba Hel, che avrebbero aspramente punito i due contendenti se li avessero scoperti.
    Su questa spiaggia Dante, demone del regno di Múspellheimr e intruso nelle terre dei morti, si rialzò a fatica, alitando sui granelli di sabbia il suo soffio infuocato.
    «Ti vedo stanco, fratello.»
    A parlare era Vergil, demone di Niflheimr e guardiano dell'ingresso del regno di Hel, reo di avere invitato l'intruso a combattere.
    «Stronzate.» Il demone di fuoco si rimise in guardia, impugnando saldamente la sua massiccia spada, Rebellion. «È solo questo postaccio. C'è troppo freddo e troppa umidità per i miei gusti.»
    Vergil sogghignò, preparandosi al nuovo assalto, ma senza fretta. Ci voleva ben altro che un po' di pioggia e di vento per piegare suo fratello, ne era più che consapevole, però Dante rimaneva un demone di fuoco. In quelle gelide terre piovose era fuori dal suo dal suo elemento naturale, aveva diritto ad un piccolo vantaggio.
    «Sei pronto?» chiese dopo un po’, quando lo vide di nuovo saldo sulle gambe.
    «Sono nato pronto.»
    Vergil sbuffò di fronte a tanta spavalderia. Serrò le dita sull'elsa della sua katana, Yamato, e scattò in avanti. Abbatté la lama su Dante, che optò per scartare di lato e tentare di colpirlo a sinistra. Vergil parò il colpo con l'avambraccio libero, coperto da spesse squame cornee - come tutto il resto del suo corpo - indietreggiò e fendette di nuovo l'aria con Yamato. Stavolta il colpo andò a segno e riuscì a ferire il suo avversario ad una coscia, ma un attimo dopo anche un fendente di Dante lo raggiunse, lasciandogli un taglio profondo su un fianco.
    Si guardarono e si sorrisero, gli occhi fiammeggianti di una fervida eccitazione. Era sempre così, tra loro, da quando riuscivano a ricordare. Il clangore delle spade, il dolore della carne lacerata, il sudore e il calore del sangue sui corpi risvegliavano in loro un istinto feroce e primordiale, un'atavica bramosia che li spingeva a lottare e a scontrarsi, fin da quando non erano che ragazzini.
    Dante e Vergil fraseggiarono a lungo con le spade in una sequela di parate e attacchi aerei che accendevano scintille ogni qual volta le lame urtavano tra loro. I coriacei corpi da demone rifulgevano nell'oscurità perenne del regno dei morti, simili e allo stesso tempo diversi, illuminati da fiamme di uguale intensità ma di differente natura. Dante, demone umanoide dalle corna affilate e svettanti verso il cielo, emanava le fiamme cremisi di Múspellheimr; Vergil, pure lui con una fisionomia vagamente umana, dotato però di corna larghe e tronche, fiammeggiava di un fuoco azzurro, il gelido fuoco di Niflheimr. Se la nebbia che regnava perenne in quel luogo non li avesse nascosti, la loro luce si sarebbe diffusa per l'intera spiaggia, rendendoli visibili da centinaia di braccia, a largo del fiume Sliðr.
    Alla fine, quando su Midgard scoccò la prima ora dopo la mezzanotte, la furia della lotta cominciò a scemare e il duello calò di intensità. I movimenti dei due demoni si fecero più scoordinati, i colpi più imprecisi, i respiri affannosi. Fu con le ultime riserve di energie e con un indomito slancio di determinazione che Dante vibrò il colpo decisivo su Vergil, spezzando la sua guardia e facendolo capitolare al suolo.
    «Punto per Dante!» esclamò, affannato ma vittorioso, alzando la lama scarlatta di Rebellion verso il cielo plumbeo. «Sono sopra di uno.»
    «Dove hai imparato a contare?» chiese Vergil, piccato e senza fiato. «Siamo pari!»
    «Oh, beh...» fece Dante, raggiungendo a passi pesanti il fratello e sedendosi davanti a lui, sulla sabbia. «Per me vale doppio. Fa maledettamente freddo, qui, e non ci sono abituato.»
    «Che ti aspettavi? Siamo nel regno di Hel.»
    «Lo so, ma non cambiare argomento.» Dante abbandonò la spada a terra e si protese verso il fratello gemello. Due file di denti aguzzi brillarono maliziosamente nella nebbia. «Al vincitore spetta una ricompensa. Giusto?»
    «Fingendo che tu sia il vincitore, sì» sospirò Vergil. «Che cosa vuoi?»
    «Quello che vuoi anche tu...» rispose Dante, facendo scorrere i lunghi artigli rossi sul torace dell'altro.
    «Non credo di capire» sogghignò Vergil.
    «Bugiardo.» Dante sorrise di nuovo e un attimo dopo fu sopra di lui, a chiudergli le fauci con un bacio infuocato.
    Nonostante fosse un demone del ghiaccio, Vergil non rispose con minor ardore. A lungo aveva desiderato il corpo del fratello e durante la battaglia era a stento riuscito a frenarsi. Percorse con le mani il corpo possente di Dante, che dopo tutti i loro incontri clandestini conosceva a memoria, e lo avvolse nelle sue immense ali azzurre, facendo scontrare il proprio bacino con quello dell'altro.
    Dante fremette di piacere. Morse il collo di Vergil con la stessa bramosia che avrebbe riservato ad un frutto scaturito dalla sacra linfa di Yggdrasill. Poi, quando la sua mano stava per scendere sul ventre del fratello, si sentì sferzare da una folata di vento gelido e nuove grida straziarono la notte, riecheggiando come lamenti di maiali sgozzati nella spiaggia.
    Malgrado il trasporto del momento, Dante non riuscì ad astenersi dal guardare verso la riva. Un mucchio di corpi devastati dal fiume e dai morsi della terribile Serpe Níðhöggr, venivano trascinati sulla sabbia, ormai privi di vita, da piccole e mostruose figure, i servi della regina Hel.
    «Un nuovo carico di unghie per la costruzione di Naglfar. Non badarci.» Spiegò telegrafico Vergil, cercando di nuovo la bocca arroventata del fratello.
    «Sì, immaginavo... È solo che...»
    «Non abbiamo molto tempo» gli fece presente allora il demone di ghiaccio. «Cosa ti frena?»
    Dante abbassò leggermente lo sguardo per non guardarlo in faccia. Era quantomeno imbarazzante ammetterlo, considerato il suo, il loro, aspetto mostruoso. «Vuoi davvero farlo qui? Voglio dire, non è che sia il massimo del romanticismo.»
    Vergil restò senza parole per un attimo. Poi dalla sua gola si levò una risata roca e diabolicamente sfottente. «Non per contrariarti, fratello, ma c'è ben poco di romantico anche nel tuo aspetto. O forse non ti sei guardato allo specchio, prima di passare per il portale di Loki?»
    «Senti chi parla!» sbottò Dante, additandolo. «Non sono io quello con la coda e le corna che sputano fiamme. E comunque, lo pensi anche tu, non negarlo. Questo posto puzza ed è pieno di cadaveri, o di tizi che lo diventeranno presto. Se puoi aprire un portale tra Niflheimr e Múspellheimr, perché non ne apri anche uno per Midgard?»
    Vergil sospirò, alzandosi. «Sai che non possiamo abusarne. Anche se Loki ci appoggia, dobbiamo essere prudenti nell'usare la sua magia.»
    «Lo so perfettamente. Ma è passato quanto, dall'ultima nostra visita nel mondo degli uomini? Un mese? Due? Ad ogni modo, oggi ho vinto io, e spetta a me decidere cosa fare e dove farlo.»
    Il demone azzurro scosse la testa. «Non stanno proprio così, le cose. Comunque. Diciamo che per oggi il permesso è accordato.»
    Dante si rialzò di scatto in una fiammata entusiasta. Nello stesso momento, Vergil sguainò Yamato e la puntò in alto, verso il cielo gravido di pioggia e nuvole.
    «Sarà meglio tornare umani, prima.»
    «Signorsì. Ma stai pronto con quel portale, tu, mi si gelano sempre le chiappe qui fuori.»

    Dante parlava spesso a vanvera e molte inutili sciocchezze uscivano dalle sue labbra, ma quando aveva ragione, bisognava dargliene atto.
    Midgard era un posto infinitamente più piacevole del regno di Hel per consumare una notte in intimità, anche per due demoni come loro.
    Vergil si rigirò tra le coperte, non più abituato al freddo che provava il suo corpo umano. In quella forma, ogni sensazione era amplificata, e gli sembrava di diventare vulnerabile ad ogni più lieve cambiamento di temperatura.
    «Etchù!»
    A quanto pare, non era il solo.
    «Non ti starai prendendo un malanno, fratellino?»
    «Non posso ammalarmi» mormorò Dante, la voce serena e appagata. «Diventerei lo zimbello di tutto il regno di Surtr.»
    «Questo non ti impedirà di prenderti un raffreddore o un'influenza. Siamo in inverno e percepiamo il freddo come ogni mortale, qui a Midgard.»
    Dante sorrise, accarezzandogli una guancia e restando a contemplarlo in silenzio. Sembrava che nemmeno avesse sentito le sue ultime parole.
    «Ti preferisco così» disse all'improvviso.
    Vergil non batté ciglio, ma dopo un attimo distolse lo sguardo. Non era abituato a complimenti così diretti, né alla dolcezza tipicamente umana che Dante mostrava di possedere, fuori e dentro Midgard.
    «Perché così ti somiglio?» chiese poi, ricordandosi quanto fosse narcisista l’altro.
    Dante ridacchiò. «In effetti sì. Ma non solo.» Guardò il soffitto del monolocale che tenevano in affitto da anni a Red Grave con aria insolitamente pensierosa. «È che ti vedo umano solo quando siamo qui. E qui mi sento a casa.»
    Vergil alzò un poco le spalle. «Possiamo tornare quando vuoi. Non troppo spesso, ma comunque abbastanza.»
    «Non è mai abbastanza» replicò allora Dante, e si tirò su a sedere. Lesse l’ora sull'orologio affisso alla parete e stimò che mancava appena mezz'ora alla partenza. Appena mezz'ora e sarebbero stati di nuovo divisi, per chissà quanto tempo. Odiò il solo pensiero.
    Vergil sembrò intuire i suoi crucci, perché rimase in silenzio.
    «Pensi mai a come sarebbe vivere qui?» chiese dopo un po’ Dante. «Solo tu ed io, in questo mondo. Senza guerre da combattere per il capriccio di un qualche borioso sovrano, senza doverci nascondere come ladri di cadaveri nella spiaggia di Hel.»
    Vergil fece un lungo sospiro, prima di rispondere: «Ci penso. Ma sai che questo non è possibile, Dante. Siamo stati condannati a servire Surtr e Hel fino alla fine dei loro regni.»
    «Lo so bene.» Dante strinse i pugni, guardando il cielo di Midgard fuori dalla finestra senza scorgerlo davvero. «Ma è ingiusto.»
    «Per la giustizia di Asgard, noi non avremmo neppure dovuto venire al mondo.»
    «Non chiamarla giustizia!» sbottò l'altro, investendolo con uno sguardo ferito. «Non può chiamarsi giustizia qualcosa che impedisce a due persone di amarsi.»
    «Nostro padre violò una legge sacra unendosi a nostra madre.»
    «Fu colpa di Loki!» ribatté Dante. «Lui la illuse che Sparda fosse un uomo, quando non lo era. Lei non sapeva a cosa andava incontro.»
    Vergil credeva invece che Eva, loro madre, sapesse, e che Sparda le avesse confidato tutto, ma non disse nulla a Dante. I suoi non erano che sospetti privi di fondamenta; non serviva aggiungere altro dolore sulla loro storia familiare, già intrisa di tragedia.
    «Lei non meritava di morire. Nostro padre non meritava l'oblio. E men che meno noi due meritavamo l’esilio.» Continuò Dante a denti stretti.
    Già. Per questo Loki li aveva aiutati. Per questo gli aveva permesso di incontrarsi, anche contro il volere degli dèi. Forse si era passato una mano sulla coscienza, chissà; ma per quanto fosse stato benevolo con loro, Vergil sapeva che di quel dio non c'era da fidarsi.
    Loki conosceva l'immenso potere del demone Sparda e Vergil era certo che volesse sfruttarlo a suo vantaggio, nella battaglia decisiva che avrebbe abbattuto i confini di tutti i regni. Ma lui non era disposto ad accettare il destino che altri avevano scelto per lui, né a servire per l’eternità un dio in cui non credeva.
    «Non sarà così per sempre.» Vergil prese il viso del gemello tra le mani e promise, con i suoi letali occhi di ghiaccio: «Quando arriverà il Ragnarok, nessuno potrà più separarci. Combatteremo per noi, Dante. Per un mondo solo nostro.»
     
    Top
    .
0 replies since 19/2/2020, 23:52   15 views
  Share  
.