Incubo

Devil May Cry

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    The storm is approaching

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    Red Grave

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    Fandom: Devil May Cry

    Titolo: Incubo

    Rating: SAFE

    Pairing: Dante/Vergil





    Quando Dante esce dal suo nascondiglio, a Red Grave ha cominciato a piovere. È una pioggia fitta e gelida, capace di penetrare nelle ossa, ma lui non corre a chiudere la finestra. Avanza spaesato tra le mura annerite e i mobili carbonizzati, l’angoscia che gli monta nel petto tenuta a freno solo dall’incredulità, uno stupore alienante che gli sigilla le labbra e gli tiene spalancati gli occhi.
    «Dante, non uscire da qui, qualunque cosa accada! Io... devo trovare Vergil. Ti prometto che tornerò presto.»
    Quanto tempo è rimasto nascosto dentro l’armadio? Un’ora? Due? Forse molto di meno. A lui però è parsa un’eternità, e in quel lasso di tempo sembra che tutto il mondo che conosceva sia irrimediabilmente cambiato.
    Il vento entra dal tetto sfondato e lo fa rabbrividire sotto gli indumenti leggeri. Sente forte l’odore della pioggia, ma quell’odore non basta a coprire il puzzo acre che ha impregnato casa sua. Non basta nemmeno lo scroscio insistente dell’acqua ad allontanare la voce della mamma, che continua a sussurragli, spaventata:
    «Lo so che è difficile, ma devi ascoltarmi. Devi essere coraggioso... Devi essere un ometto, okay?»
    Dante coraggioso non ci si sente neanche un po’ mentre attraversa la camera da letto dei genitori immersa nell’oscurità, ma trova comunque la forza di arrivare alla porta. Stringe la maniglia tra le piccole dita, fredde e tremanti, e sobbalza quando quella si abbassa con un gemito che non aveva mai fatto prima.
    Anche il corridoio che dà accesso alle altre stanze è buio, ma qui l’odore di bruciato è molto più intenso. Dante tossisce, si copre il naso con un braccio, cerca di trattenere il fiato. Alcuni dei quadri appesi alle pareti sono caduti per terra e lui lo scopre troppo tardi, incespicandovi sopra e scorticandosi le ginocchia su un tappeto di detriti. Il cuore gli balza in gola, più per la sorpresa che per il dolore.
    «Mamma? Vergil?»
    La sua voce è stridula, ridotta ad una supplica. Suona estranea alle sue orecchie non meno di quanto appaia estranea la casa, devastata dall’incendio, ai suoi occhi, e lo fa sembrare un bambino molto più piccolo della sua età. Dante si vergognerebbe per una cosa del genere, ma adesso non gli importa affatto di risultare infantile.
    Ha paura. Ha voglia di correre via da lì, ma è più urgente il bisogno di riabbracciare la mamma. Vuole solo che lei lo stringa forte, che gli dica che va tutto bene. Vuole che gli accarezzi i capelli e che gli posi un bacio sulla fronte come fa ogni sera, dopo avergli rimboccato le coperte, e gli dica che niente di tutto quello è reale.
    Si accontenterebbe persino di essere svegliato e preso in giro da Vergil, che non ha mai paura di niente e non si spaventerebbe tanto per un brutto sogno.
    Ma quello è davvero un sogno?
    Sembrava l’unica spiegazione possibile all’inizio, ma più il tempo scorre, più Dante non ne è sicuro.
    «Mamma!» La chiama di nuovo, stavolta abbastanza forte perché lei possa sentirlo dalle altre stanze.
    Ma casa Sparda tace, e a rispondergli è solo la pioggia che funesta impietosa le rovine della villa.
    Dante si rialza, combatte le lacrime che gli bruciano negli occhi e minacciano di scendergli da un momento all’altro. Riprende a camminare nel buio, appoggiato alla parete per non rischiare di cadere di nuovo.
    Il senso di smarrimento cede il passo al timore mentre si avvicina alla sua camera e nota, grazie al bagliore della luna che attraversa le finestre, gli schizzi di sangue sulla carta da parati. Il timore precipita in puro e autentico terrore quando raggiunge la soglia della stanza e vede il groviglio di capelli biondi immersi in una pozza di sangue.
    «Dante...»
    Un senso di vertigine lo assale, come se l’oscurità avesse preso vita all’improvviso e lo stesse risucchiando.
    La mamma giace per terra, immobile; i vestiti insanguinati, il viso terreo e gli occhi vitrei e inespressivi, fissi su di lui.
    L’orrore esplode nella sua mente di bambino con un urlo muto. Il mondo gli si sgretola davanti e lui precipita in un abisso di disperazione, senza possibilità di salvezza.

    «Dante!»

    La voce di Vergil è un lampo di luce che squarcia l’oscurità.
    Dante sgrana gli occhi.
    Si sveglia di soprassalto, come quando si sogna di cadere e nel momento dell’impatto col suolo si ripiomba nella realtà. Ansima. Ha la fronte sudata, i muscoli contratti, il cuore impazzito nel petto. Nella testa, ancora impressa a fuoco, l’espressione del cadavere della madre ritrovato una sera di maggio di tanti anni fa, la sera che ha stravolto per sempre la sua vita.
    «Stai bene?»
    Si accorge che Vergil gli tiene una spalla. Deve averlo scosso, per svegliarlo.
    «Sì...» mormora Dante, ma non lo guarda. Si tira a sedere sul letto e si massaggia le tempie tra il pollice e l’indice di una mano, chiudendo gli occhi. «Sì, sto bene.»
    Vergil lo studia, in silenzio. Ha quello sguardo penetrante che Dante ama sentirsi addosso, ma che ora rifugge, perché si sente scoperto.
    Forse è perché sono gemelli, o forse è solo perché Vergil è bravo a leggere le persone, ma quello sguardo riesce ogni volta a scavargli nell’anima.
    «Parlavi nel sonno» gli dice dopo un po’ suo fratello. «Urlavi, per la verità.»
    «Davvero?» Dante accenna una risata, ma la sua voce è bassa e roca e artefatta. Ha il tono di chi si sforza di ridere, ma non è per nulla in vena di farlo. «È stato solo...»
    «Un incubo?»
    «Sì, qualcosa del genere.» Dante si guarda intorno. Cerca qualcosa sul comodino che è solo un pretesto per non guardare l’altro negli occhi. «Che ore sono?»
    «Le quattro passate.»
    «Oh, merda. Scusa. Ti ho svegliato nel cuore della...»
    «Dante, guardami.» Vergil gli posa una mano sulla guancia e lo invita a voltarsi. Ha un tocco tiepido, rassicurante, che gli allenta la tensione dei muscoli all’istante.
    Allora Dante non può farne a meno: incontra gli occhi di Vergil e ci vede riflesso un volto pallido e spaventato che fatica a riconoscere come suo.
    «Stai tremando...»
    Lui non sa come rispondere. Si sente stupido per non riuscire a controllare la sua reazione, ma si sentirebbe ancora più stupido, adesso, a negare l’evidenza.
    «Era lei» confessa alla fine, in un sussurro. «Era la mamma. L’ho rivista, quel giorno, dopo l’incendio. Dopo che i demoni ci hanno attaccati. Dopo che lei mi ha salvato e loro l’hanno...»
    Non finisce la frase, non ci riesce. Il pensiero lo spezza e sente che potrebbe spezzarsi anche la sua voce se continuasse, e non vuole piangere davanti a Vergil. Non voleva farlo a otto anni, figurarsi ora che ha superato i quaranta.
    A Vergil basta per capire, comunque. O magari immaginava già e quella confessione è stata solo una conferma.
    «Vieni qui» dice soltanto, e tira Dante a sé. Gli cinge le spalle con un braccio, con una mano gli accarezza la nuca; poi gli posa un bacio tra i capelli che sembra dirgli Stai tranquillo, ci sono ancora io, con te.
    Dante rimane di sasso per un attimo. Non se lo aspettava. Non si è mai aspettato di ricevere quel genere di attenzioni da Vergil; anche ora che il loro rapporto è cambiato, ora che hanno messo da parte le ostilità e dividono perfino lo stesso letto al Devil May Cry, si sorprende sempre. Ma la sorpresa dura solo un attimo.
    Dante si stringe a lui più forte che può. Poggia la fronte nell’incavo del suo collo, respira la sua pelle, ascolta il ritmo calmo del suo battito. Si lascia cullare dal calore di Vergil e in breve tempo il suo corpo si rilassa, sciogliendosi nella certezza di quell’abbraccio.
    Pian piano, anche nella sua mente sconvolta dagli orrori di un passato lontano - ma mai troppo lontano per essere dimenticato - torna a regnare la calma. Una quiete profonda, celeste come un cielo sereno dopo la tempesta. Come gli occhi dei figli di Sparda, sopravvissuti all’incubo.
     
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